C’era un tempo in cui bastava parlare di Germania e Francia per mettere a tacere tutti in Europa. Erano i galli nel pollaio, i leader indiscussi più per un vuoto nella governance comunitaria che per meriti oggettivi. Ad ogni modo, l’asse franco-tedesco ha retto le sorti dell’Unione Europea fino a poco tempo addietro. Oggi, non esiste. E se esiste occasionalmente, è ormai solamente la sommatoria di due grosse debolezze. Berlino e Parigi sono precipitate nel caos politico, oltre che nella crisi economica e sociale. Sono rimaste a corto di leadership e visione.
Asse franco-tedesco sgretolato
Quanto accaduto ieri al Bundestag, con Friedrich Merz che si vede negata la fiducia alla prima votazione, testimonia le convulsioni tedesche.
Nelle stesse ore, però, le cose non vanno meglio presso gli (ex?) alleati. Il premier François Bayrou ha balenato l’ipotesi di indire un referendum per fare decidere ai cittadini se accettare o meno i sacrifici per tagliare il deficit. Il politico centrista, in carica da pochi mesi solo grazie all’astensione del Rassemblement National, ha definito la situazione dei conti pubblici transalpini “grave”.
Il deficit francese è stato del 5,8% del Pil nel 2024 e quest’anno scenderà solo al 5,4%. Serviranno 40 miliardi di euro per il bilancio del 2026, al solo fine di avvicinare il disavanzo al tetto del 3% previsto dal Patto di stabilità. L’Italia ha nel frattempo ridotto al 3,4% il suo deficit e quest’anno potrebbe anche tendere al 3%, spese militari permettendo. La Germania ha deciso volontariamente di sforare i parametri fiscali per finanziare il riarmo tedesco e gli investimenti nelle infrastrutture nazionali. Cercherà così di risollevare le sorti della propria economia, attesa stagnante per quest’anno dopo due anni di recessione.
Merz e Macron due non leader
L’asse franco-tedesco sta male anche nel contesto geopolitico. I suoi leader non sono ben visti alla Casa Bianca, dove il presidente Donald Trump segnala di avere un rapporto ben migliore con la premier italiana Giorgia Meloni e il britannico Keir Starmer. Il flop iniziale di ieri non fa bene alle quotazioni di Merz come leader sul palcoscenico internazionale. La stella di Emmanuel Macron, invece, è in caduta libera da anni e in patria ormai il presidente appare una scheggia impazzita persino agli occhi dei suoi uomini.
Cosa ne sarà dell’economia tedesca con un governo che è nato praticamente già morto? E in Francia ci saranno in estate nuove elezioni (le terze in 3 anni) per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale? L’asse franco-tedesco non è nelle condizioni di distribuire le carte. E da un lato ciò sta accrescendo il peso politico della Commissione europea, mentre dall’altro contribuisce a ridimensionarne l’operato. L’indebolimento dei due stati-perno dell’UE affievolisce i riferimenti politici delle istituzioni comunitarie. Ovunque avanzano le formazioni esterne ai due schieramenti tradizionali.
Establishment europeo a pezzi
In Romania è stato un trionfo per il candidato sovranista George Simion al primo turno: 40,5%. Il premier socialdemocratico Marcel Ciolacu è rimasto escluso dal ballottaggio, ottenendo meno del 20% dei consensi.
Si è dimesso. La famosa “Grosse Koalition” in Germania tanto grande non è. I due schieramenti che ne fanno parte hanno ottenuto insieme il 45% e secondo i sondaggi sarebbero già scesi a poco più del 40% complessivo. Sono saliti a destra l’AfD, ormai primo partito, a sinistra la Linke. Hai voglia a classificare il primo come “formazione estremista”, minacciandone lo scioglimento. Gli elettori sono in rivolta contro un establishment chiusosi a riccio come l’Ancien Régime in piena Rivoluzione Francese.
Cosa resterà di questo asse franco-tedesco? L’arroganza di chi pretende di contare più degli altri a dispetto di numeri e fatti. E la scarsa avvedutezza di chi non ha capito dove andasse il mondo, piegando la politica comunitaria agli interessi spiccioli dei rispettivi governi con politiche ideologiche come il Green Deal e avulse dal contesto internazionale. Alla fine si è sgretolato dall’interno per effetto dell’emorragia elettorale che ha travolto l’establishment. Guerra e dazi sono stati il colpo fatale inferto dall’esterno a un sistema incapace di riformarsi e che pensa di risolvere la propria crisi mettendo al bando le opposizioni.