Le borse mondiali salgono di circa il 18% quest’anno, quando sembrava nella primavera scorsa che fossero state affossate dai dazi trumpiani. Le soddisfazioni per gli investitori non sono limitate al mercato azionario. L’oro si è impennato fino a 4.400 dollari l’oncia, pur avendo ripiegato ai circa 4.145 dollari di ieri. Gli altri metalli preziosi non sono rimasti a guardare, con l’argento schizzato fin sopra 54 dollari e ai nuovi massimi storici. E i prezzi delle case negli Stati Uniti hanno ripreso a salire nel mese di agosto dopo una frenata nei mesi precedenti. E se dietro a tutti questi rialzi ci fosse la paura per una possibile repressione finanziaria futura?
Repressione finanziaria, cos’è
L’espressione a molti di noi non dirà granché, eppure si tratta di un fenomeno con il quale abbiamo convissuto per anni e anche di recente. Con essa s’intende quella condizione in cui i mercati si trovano ad operare con tassi bassi, pur a fronte di un’inflazione più alta.
Accadde proprio nel corso del decennio passato, quando le grandi banche centrali manipolarono i rendimenti obbligazionari per portarli in territorio negativo in termini reali.
Prima di allora, di repressione finanziaria si era parlato negli anni Settanta dell’inflazione a due cifre. E in pandemia il fenomeno avrebbe raggiunto l’apice con rendimenti azzerati persino per scadenze lunghissime. Basti pensare che nel giugno del 2020 l’Austria emise un bond a 100 anni con cedola 0,85%. Non è un caso che oggi quel titolo quoti a meno di un terzo del suo valore nominale sul mercato secondario.
Obbligazioni asset a rischio
Per capire in cosa si traduca di fatto la repressione finanziaria, vi proponiamo un esempio.
Se acquistassimo un bond a 10 anni con rendimento netto del 2%, significa che entro la scadenza il capitale ci frutterà il 20% in tutto. Se nel frattempo l’inflazione sarà stata del 3% in media all’anno, il nostro potere di acquisto si sarà ridotto del 34,3%. Nella nostra ipotesi, i 1.000 euro iniziali tra un decennio varranno appena 745 euro di oggi. Il rendimento è stato insufficiente a garantire perlomeno il mantenimento della capacità di acquisto del capitale investito.
Cosa determina la repressione finanziaria? Le banche centrali possono tenere i tassi di interesse più bassi dell’inflazione, oppure spingere in basso i rendimenti con maxi-iniezioni di liquidità sui mercati. Un modo assodato per farlo consiste nell’acquistare massicce quantità di asset finanziari come obbligazioni. Perché? Perseguendo tassi reali negativi, consentono ai governi (ma anche a imprese e famiglie) di indebitarsi a costi sostenibili. Man mano che i vecchi debiti arrivano a scadenza e vengono rimpiazzati con i nuovi, la spesa per interessi complessiva scende e crea margini di manovra per i conti pubblici. Questo spazio fiscale lo si può usare per finanziare determinate voci di spesa e/o per tagliare il deficit.
Conti pubblici “drogati”
Inoltre, l’inflazione ha un “pregio” agli occhi degli stati: gonfia il Pil nominale (e le stesse entrate fiscali) e riduce il peso del debito pubblico. Se il primo fosse di 100 e il secondo di 150, il rapporto debito/Pil sarebbe del 150%. Ma se il primo salisse a 120 per effetto dell’alta inflazione e il secondo (per ipotesi) restasse fermo, il rapporto scenderebbe al 125%.
Tradotto: la repressione finanziaria è una forma mascherata di “esproprio” dei creditori. Se vogliamo, una politica di redistribuzione della ricchezza in favore dei soggetti debitori.
Asset anti-inflazione
Cosa c’entrerebbe questa paura con borse, oro e immobili? Questi sono tre asset che tendono ad apprezzarsi proprio in vista di tassi d’inflazione incontrastati. Storicamente, le azioni tutelano dal rischio così come il metallo giallo e le case. Se ci fate caso, le prime sono titoli che rappresentano quote di capitale per una società quotata in borsa. Quando i prezzi al consumo salgono, le imprese accrescono i loro ricavi. Quand’anche subissero aumenti proporzionali dei costi, i loro margini resterebbero invariati. Dunque, comprare azioni può mettere al riparo dalla repressione finanziaria.
Perché esiste questa paura? I debiti degli stati crescono e, contrariamente al passato, le condizioni politiche per una loro riduzione stanno venendo del tutto meno. I governi soffrono di scarso consenso. I cittadini non sembrano più disposti nel mondo ricco a compiere sacrifici per risanare i conti pubblici. Tagliare la spesa pubblica e/o aumentare le entrate appaiono misure sempre più difficili da attuare. E il problema non riguarda più economie marginali, bensì giganti come Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Francia, Italia, ecc. Persino la Germania sta rinunciando alla sua proverbiale austerità fiscale per imbarcarsi in stimoli senza precedenti.
Con riarmo torna la dominanza fiscale
Le tensioni geopolitiche non aiutano. L’Europa ha annunciato un vasto programma di riarmo, che consta in un maxi-aumento della spesa per la difesa. Come detto, appare impensabile oggi come oggi chiedere sacrifici ai cittadini, specie per finanziare un programma bellico. E poiché dinnanzi al rischio che il nemico ti entri in casa, tutto ti puoi permettere, fuorché di provocare il malcontento interno, l’aumento dei debiti appare lo scenario di base un po’ dappertutto. Chi paga? I mercati hanno segnalato chiaro e tondo di non essere più disposti a finanziare ai rendimenti correnti.
Pretendono di più. Ci penseranno le banche centrali ad abbassare loro la cresta.
Le banche centrali agiscono da molti anni ormai come braccio armato dei governi, nascondendosi dietro la foglia di fico dell’indipendenza. La repressione finanziaria è stata e sarà anche nei prossimi anni figlia della dominanza fiscale. Non sono più i governatori a dettare legge, imponendo la stabilità dei prezzi ai governi. Al contrario, sono proprio i governi ad ottenere quanto desiderano, ossia un costo del debito più basso. Mala tempora currunt per gli obbligazionisti, specie se esposti massicciamente verso le scadenze più lunghe.
Repressione finanziaria o alternative altrettanto dolorose
Il boom dell’oro è malvisto dai governi perché svela la repressione finanziaria in vista. Temono di essere stati sgamati e di dover rendere conto. La verità è che le alternative risulterebbero non meno impopolari ai cittadini: una cura di austerità da cavallo o la rinegoziazione dei debiti. A pagare sarebbero nel primo caso i cittadini-contribuenti, nel secondo i creditori. Conseguenze nefaste in tutti i casi. La protesta preventiva dei mercati sta andando in scena con modalità tutte proprie: niente strilli sguaiati, ma fuga verso gli asset considerati una salvezza dall’inflazione.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

