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Oggi: 05 Dic, 2025

Sulle terre rare l’Africa vuole condurre i giochi, spalleggiata dalla Cina

L'Africa guarda a un nuovo modello di sviluppo e sulle terre rare vuole dettare le condizioni alle multinazionali.
3 settimane fa
2 minuti di lettura
Terre rare, Africa cambia linea
Terre rare, Africa cambia linea © Licenza Creative Commons

Il futuro dell’economia mondiale si chiama Intelligenza Artificiale. Anzi, è già il presente. Ma non esiste senza terre rare, il gruppo di 17 minerali indispensabili per la fabbricazione di prodotti elettronici, pannelli solari, componenti di alta tecnologia, dispositivi medicali, ecc. C’è una notizia colpevolmente ignorata dalla distratta stampa occidentali e che ci porta in Africa. Il presidente del Malawi, Arthur Peter Mutharika, in carica da appena un mese, ha disposto il divieto di esportazione di questi minerali in assenza di una loro trasformazione in loco.

Terre rare, limiti a multinazionali

Questa misura appare in linea con altre adottate negli ultimi anni da stati africani come Zimbabwe e Namibia.

Il primo vieta dallo scorso anno le esportazioni di litio, la seconda dal 2023 fa lo stesso anche con cobalto, manganese, grafite e terre rare. Tradotto: l’Africa non vuole più restare fornitore di materie prime per poi dovere riacquistare dall’estero i manufatti a prezzi inaccessibili per la gran parte della sua popolazione. Pretende di avere una parte nei processi produttivi.

E questa è una novità dirompente. Fino ad oggi le multinazionali andavano in Africa ad estrarre le materie prime, che successivamente impiegavano per le produzioni all’estero. Gli stati africani vendevano i diritti di estrazione per quattro soldi, mentre le economie straniere si arricchivano grazie alle produzioni ad alto valore aggiunto. Questo schema non va più bene ai governanti del continente. E dalla loro hanno la Cina, per ragioni tutt’altro che nobili.

Cina primo produttore mondiale

Nel Malawi Pechino ha appena investito 5 miliardi di dollari per la creazione di una zona economica speciale.

Tantissimi soldi per un’economia da 11 miliardi nel 2024 e attesa a 14 miliardi per quest’anno. La mossa del neo-presidente sulle terre rare potrebbe essere stata concordata proprio con i cinesi. Questi avrebbero tutto l’interesse a che i minerali venissero trasformati in loco. Per più di un motivo. Il primo sarebbe che, così, seguirebbero più da vicino i processi produttivi altrui, magari con il fine di carpire qualche segreto industriale. Inoltre, la concentrazione della produzione in una ristretta area permetterebbe l’abbattimento dei costi. L’investimento diverrebbe più remunerativo.

La Cina è il principale produttore di terre rare: 270.000 tonnellate nel 2024, pari al 69% del totale di 390.000 tonnellate estratte nel mondo. A seguire ci sono Stati Uniti (45.000), Myanmar (31.000), Australia (13.000), Nigeria (13.000), Thailandia (13.000), India (2.900), Russia (2.500), Madagascar (2.000) e Vietnam (300). Come potete notare, il Malawi non appare neppure in cima alla lista. Ciò porterebbe a credere che la portata del divieto appena annunciato sia irrilevante. Potrebbe non essere così.

Cresce influenza cinese

Un giacimento di terre rare è stato scoperto nello stato dell’Africa sud-orientale di recente, il cosiddetto Kangankunde Project. La qualità dei minerali sarebbe elevata. La loro bassa radioattività ridurrebbe l’impatto ambientale e i costi stessi per le lavorazioni. E se la Cina avesse dati a noi ignoti per cui il sottosuolo risulterebbe ben più fornito di quanto ad oggi sappiamo?

La vicenda sulle terre rare è solo l’ennesima testimonianza della crescente influenza cinese in Africa, contestuale alla minore capacità dell’Occidente di fare presa sugli stessi governanti.

I diversi colpi di stato nell’Africa sub-sahariana di questi anni hanno azzerato la presenza francese nell’area a favore principalmente dei russi. L’Africa per noi europei sembra perduta. Le conseguenze potranno essere eclatanti. Anziché sfruttare la manodopera a basso costo per estrarre in loro le materie prime, importarle e produrre altrove, le nostre multinazionali potrebbero dovere completare gran parte del processo produttivo nel continente.

Terre rare segnalano cambio di paradigma

Il problema è che l’Africa non dispone delle maestranze e delle conoscenze per potersi permettere di fabbricare beni ad alto contenuto tecnologico. L’ipotesi più realistica sarebbe, eventualmente, di creare joint venture, così come da decenni accade in Cina. Comunque sia, il Malawi segnala che gli stati africani vogliono far restare nei loro territori una quota di valore aggiunto ben superiore alle noccioline di oggi. Se siamo dinnanzi a un cambio di paradigma, lo scopriremo molto presto.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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