Era appena iniziato l’autunno del 2022 e il Regno Unito fece una scoperta clamorosa a proprie spese. In quei giorni di lutto per la morte della Regina Elisabetta II si era appena insediata a Downing Street la nuova premier conservatrice Liz Truss. Nel tentativo di dare uno scossone ad un’economia colpita duramente dal Covid, esordì varando un maxi-taglio delle tasse per decine di miliardi di sterline in deficit. La sterlina sprofondò e i rendimenti dei Gilt esplosero. Le tensioni sui mercati furono così forte da indurre la Banca d’Inghilterra ad intervenire per circoscrivere la crisi ed evitare il contagio ai danni dei fondi pensione.
Truss sarebbe passata alla storia come il primo ministro più transitorio nella storia del regno: appena un mese e mezzo.
UK e USA accomunati dalla paura
All’inizio dell’anno si reinsediava alla Casa Bianca Donald Trump. Il dollaro era forte e la borsa americana ai massimi storici. E’ bastato l’annuncio di dazi sulle importazioni a far crollare tutto. I rendimenti s’impennavano all’inizio della primavera, mentre il dollaro sprofondava insieme a Wall Street. Il panico seminato dai crolli spingerà il governo a compiere un mezzo passo indietro con la sospensione dei dazi ritorsivi. Il dollaro sarebbe risalito dai minimi, i rendimenti scesi e la borsa avrebbe segnato nei giorni scorsi nuovi record.
In questi giorni sta per scadere il tempo concesso per trovare un accordo commerciale con l’Unione Europea. Trump fa la voce grossa, ma è terrorizzato all’idea di un ritorno delle tensioni sui mercati. I segnali sono chiari: se i dazi risaliranno al 20%, gli indici azionari americani saranno affossati e il dollaro rischierà definitivamente di perdere lo status di valuta di riserva.
Sempre in questi giorni Londra rivive l’incubo di un “effetto Truss“. Ieri, è bastato che il premier Keir Starmer non difendesse il cancelliere Rachel Reeves per indebolire la sterlina e far risalire vertiginosamente i rendimenti dei Gilt. Il primo ha dovuto rassicurare con parole esplicite nelle ore successive per arrestare la crisi.
Fine dell’eccezione angloamericana
Cosa hanno in comune questi episodi apparentemente slegati tra loro? La fine della lunga era dell’eccezione angloamericana. I sudditi di Sua Maestà, ma soprattutto gli americani, avevano creduto fino a pochissimo tempo addietro di essere immuni alle leggi del mercato. Ciò spiega perché i debiti non hanno fatto che lievitare da un’amministrazione all’altra, all’insegna della più sfrontata irresponsabilità fiscale. La Federal Reserve avrebbe potuto e dovuto intervenire sempre e comunque per finanziare gli sperperi di Washington. Questa è stata la convinzione bipartisan ad oggi.
E, invece, le tensioni sui mercati hanno riportato tutti con i piedi per terra. Le eccezioni non durano in eterno. Prima o poi le leggi dell’economia valgono per chiunque. Non è più possibile classificare come massimamente affidabili emittenti scriteriati come USA e Regno Unito, i quali hanno perso negli anni i rating tripla A. Starmer sembra preoccupato sin dal suo insediamento di un anno fa di non apparire fiscalmente lassista. Teme i “bond vigilantes“, le fughe dei capitali e la reazione avversa della City. Trump fa lo yankee temerario, ma dietro ai toni da cowboy si cela la presa d’atto che alla fine dovrà anch’egli fare i conti con il mercato.
Tensioni sui mercati riportano disciplina fiscale
La fine della lunga stagione dell’impunità per la finanza angloamericana è salutare. I governi sono diventati così irresponsabili da convincere gli elettori che tutto fosse possibile, come tagliare le tasse e aumentare la spesa pubblica senza che nessuno pagasse il conto. Fintantoché le tensioni sui mercati saranno arginate sul nascere, la maggiore prudenza dei governi non sarà condivisa dagli elettori. In fondo, se oggi in Italia siamo diventati un po’ più ragionevoli come opinione pubblica circa il nostro modo di approcciarci al bilancio dello stato, lo dobbiamo ad anni di dolore vissuto sulla nostra pelle con lo spread alle stelle, la caduta della borsa e la fuga dei capitali con tanto di necessaria austerità per riparare i danni. Ora, è arrivato il turno di americani e, in misura minore, britannici.