In questi ultimi tempi abbiamo assistito a cose che non pensavamo neanche fossero immaginabili in Italia. Concorsi pubblici andati deserti, candidati che si sono presentati in numero inferiore alle posizioni disponibili, vincitori di concorso che non hanno assunto la carica. E questo persino al Sud, dove da sempre la fame di lavoro spinge i giovani a trovare riparo nella Pubblica Amministrazione. I dirigenti degli enti locali e amministrativi sono in molti casi disperati: manca personale e non s’intravede la luce in fondo al tunnel. Cosa sta succedendo? Niente di strano, gli stipendi pubblici sono miseri.
Stipendi pubblici in caduta libera con Covid
Lo sono da molti anni, specie da quando hanno subito il “congelamento” per arrestare la corsa della spesa pubblica e cercare così di migliorare i conti dello stato.
A farne le spese milioni di dipendenti, che non hanno più visto negli ultimi 15 anni aumenti delle retribuzioni degni di essere definiti tali, salvo rarissime eccezioni. Con il Covid, però, la situazione è diventata talmente disperata da far perdere appeal al posto fisso e sicuro di cui Checco Zalone forniva un perfetto ritratto cinematografico tragicomico meno di un decennio fa.
Gli stipendi pubblici nel primo trimestre di quest’anno sono cresciuti dell’1,7% su base annua. Percentuale appena sufficiente a coprire l’inflazione del periodo. Nel settore privato, invece, le retribuzioni orarie sono aumentate ben più velocemente: +4,5%. Questo significa che un dipendente privato in media ha potuto migliorare il suo stipendio reale del 2,8%. In cinque anni, cioè dall’inizio dell’era Covid ad oggi, nel settore privato le retribuzioni sono cresciute dell’11%, restando indietro rispetto all’oltre 18% messo a segno dall’inflazione.
In parole povere, sono diminuite del 7% e passa in termini reali.
Dipendenti pubblici in attesa di rinnovo contrattuale
Quanto agli stipendi pubblici, hanno fatto peggio. E non era semplice. In cinque anni sono aumentati nominalmente dell’8,2%, diminuendo in termini reale del 10%. Se già erano bassi prima, adesso sono insostenibili per la pura sopravvivenza in una grande città italiana. E i dati dell’ISTAT testimoniano che proprio il comparto pubblico peggiori nettamente le cifre sul lavoro in Italia. Ad esempio, nel mese di marzo era sceso al 47,3% la percentuale di dipendenti in attesa di rinnovo contrattuale. Tuttavia, essa era del 32,6% nel settore privato e del 100% nella Pubblica Amministrazione.
E i dipendenti che si trovano in una condizione di vacanza contrattuale, aspettavano il rinnovo da 23,1 mesi. Il dato sale a 36,6 mesi tra i dipendenti pubblici e crollano a 11,5 mesi tra i dipendenti privati. Per l’insieme dei dipendenti, invece, si attesta a 10,9 mesi, salendo sempre a 36,6 mesi tra i primi e crollando ad appena 3,8 mesi tra i secondi. Cosa significano questi numeri? Quando leggiamo che in Italia esistono troppi lavoratori in attesa di rinnovo contrattuale e che le retribuzioni restano al palo, stiamo perlopiù riferendoci al settore pubblico. Non che il settore privato faccia faville, ma sta reagendo da tempo molto meglio, anche per l’esigenza di attirare forza lavoro altrimenti introvabile.
Servizi pubblici in crisi
Sono gli stipendi pubblici a tirare giù il dato complessivo. Nel primo trimestre, la crescita media complessiva è stata del 3,9%. Come detto, però, ha risentito del +4,5% nel settore privato e del +1,7% nel pubblico. E’ naturale che siano rimasti in pochi a voler lavorare alle dipendenze della Pubblica Amministrazione. Il lavoro sarà anche sicuro e le pretese spesso scarse; ma se non si arriva a fine mese, non ha senso. Il gap con il settore privato si allarga e rischia di mandare in crisi i servizi pubblici. Il caso più eclatante è la sanità. L’assenza drammatica di medici e infermieri mette in ginocchio ambulatori e ospedali. Non è che manchino del tutto, semplicemente molti preferiscono lavorare nel privato, dove possono guadagnare di più e svolgere meno ore.
L’aumento degli stipendi pubblici è limitato dalle ristrettezze finanziarie dello stato. Da pochi giorni il Ministero di economia e finanze ha eliminato il tetto per gli enti locali, consentendo così loro eventualmente di assumere e migliorare le retribuzioni dei dipendenti. Un’esigenza avvertita particolarmente in certe aree del Nord, dove si fatica a trovare personale disposto a lavorare pochi spiccioli con un costo della vita abnorme.
Stipendi pubblici in calo sul Pil
Lo scorso anno, gli stipendi pubblici sono costati ai contribuenti 196 miliardi, l’8,9% del Pil. All’inizio del millennio, ammontavano a circa 130 miliardi, incidendo per il 10,5% del Pil. Il numero dei dipendenti non è variato granché da allora, per cui i risparmi sono da considerarsi frutto della minore crescita delle retribuzioni nominali (+1,77%) rispetto al Pil (+2,27%). In termini reali, un calo superiore al 3%. Un quarto di secolo andato perduto. E questo, purtroppo, vale per la generalità dei lavoratori italiani, le cui retribuzioni oggi risultano più basse di quelle di inizio anni Novanta al netto dell’inflazione.
I stipendi dei dipendenti pubblici dovrebbero essere proporzionati alle ora di lavoro come nel privato. Un dipendente pubblico che lavora mediamente 6 ore giorno percepisce uno stipendio fra 1.200,00/1.600,00€/mese, in un ambiente lavorativo privato con lo medesimo stipendio hanno una attività lavorativa di 8 ore giorno. Chi è il più avvantaggiato? Non credete che vi sia troppo clamore in tutto questo?