Spese militari al 5% del Pil, la richiesta della NATO agli stati membri al vertice di fine giugno

La NATO intenderebbe chiedere agli stati membri di aumentare le spese militari al 5% del Pil e in Germania il governo già sfiora la crisi.
1 mese fa
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Spese militari al 5% del Pil
Spese militari al 5% del Pil © Licenza Creative Commons

Una dichiarazione del ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, ha quasi generato una crisi di governo in Germania a distanza di pochi giorni dalla sua nascita. Alla riunione dei ministri degli Esteri degli stati NATO, ha dichiarato di essere d’accordo con il presidente americano Donald Trump circa la necessità di aumentare le spese militari al 5% del Pil. Un’affermazione che ha lasciato di stucco il cancelliere Friedrich Merz e che ha mandato su tutte le furie il suo vice, il socialdemocratico Lars Klingbeil. Il primo non ne sapeva nulla, il secondo ha fatto presente che di questa soglia non si era parlato nell’accordo della Grosse Koalition.

Spese militari al 5%, vertice NATO a fine giugno

Il giallo è solo apparente. Da mesi si sa che il segretario della NATO ed ex premier olandese, Mark Rutte, chiede ai 32 stati membri dell’Alleanza Atlantica di aumentare le spese militari al 5% del Pil e non più al 2%. Questo era l’obiettivo minimo fissato sin dal 2014 e largamente disatteso fino ad oggi dalla stragrande maggioranza degli alleati. A fine giugno si terrà un importante vertice NATO al quale parteciperà anche Trump in persona. In quell’occasione, gira voce che tale richiesta sarà formalizzata ed è improbabile che ci saranno forti resistenze.

Baratto sui dazi con Trump

Il 5% sarebbe la moneta di scambio che la Casa Bianca pretenderà per giungere ad un accordo con l’Unione Europea sui dazi. E guarda caso, questo dovrà essere trovato entro i primi giorni di luglio, quando scadrà la tregua dei 90 giorni annunciata a metà aprile. Chi oserà contrapporsi al presidente americano, sapendo di rischiare l’imposizione di dazi al 20% sulle esportazioni negli USA? Vedremo, semmai, se il 5% sarà una soglia non negoziabile o, al contrario, una sorta di richiesta volutamente elevata per trattare su livelli effettivi più bassi.

Per il momento trapela quanto segue: la NATO chiederà ai membri, tra cui ovviamente l’Italia, di aumentare le spese militari vere e proprie al 3,5% del Pil, mentre un ulteriore 1,5% dovrebbe essere destinato alle voci correlate. Si tratterebbe di infrastrutture, cybersicurezza, ecc. In pratica, gli stati dovranno per alcuni anni compiere il massimo sforzo per mostrarsi capaci di difendersi in caso di attacco esterno. E per questo dovranno spendere non soltanto in campo strettamente militare, ma anche in tutto ciò che riguarda la sicurezza in senso lato.

E l’Italia già magicamente al 2%

Per l’Italia si tratterebbe di una botta. I nostri conti pubblici non consentirebbero simili oneri. Abbiamo già un debito sopra il 135% del Pil e immaginare di aumentare le spese militari in deficit non sembra un’opzione. E ciò vale per la gran parte dei nostri alleati europei, Francia in primis. Il governo Meloni ha annunciato in questi giorni di avere raggiunto il traguardo del 2%. Considerato che partivamo da una spesa militare di 35 miliardi, cioè l’1,5% del Pil, evidentemente sono stati aggiunti 10 miliardi. Quando e attraverso quali voci? In realtà, si è trattato di un semplice spostamento di voci di bilancio. Ad esempio, sono state incluse le pensioni ad ex militari e parte dell’Arma dei Carabinieri, un escamotage contabile che difficilmente a Bruxelles sarà accettato.

I criteri relativi alle spese militari parlano di “forze addestrate secondo criteri militari, sotto comando diretto e impiegabili in operazioni fuori dai confini nazionali”. E con tutto rispetto, le pensioni di ex finanzieri e carabinieri non c’entrano nulla con l’aumentata capacità di difesa dell’Italia. Le furbate non ci porteranno lontano. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel difendere la linea della NATO, si mostra più cauto sui numeri. Egli vorrebbe un 3% per le spese propriamente militari e un 2% per la sicurezza. Fatto sta che per l’Italia il maggiore esborso annuale varrebbe qualcosa come 65-70 miliardi di euro. Non è neanche lontanamente ipotizzabile che possa avvenire in deficit.

Problemi anche in Germania

La stessa Germania avrebbe grossi problemi. Passare dal 2% al 5% comporterebbe una maggiore spesa di 135 miliardi all’anno. Va bene che parte da un debito pubblico relativamente basso (sotto il 65% del Pil), ma neanche Berlino può permettersi un simile onere. A maggior ragione che naviga in acque incerte sul fronte della crescita economica. Il rialzo dei rendimenti tedeschi a marzo è stato un segnale in tal senso. Puoi vantare il rating tripla A per i tuoi titoli di stato, ma ciò non toglie che sei soggetto alle leggi del mercato.

Spese militari più alte, servono tagli al bilancio

Merz si è detto contrario al varo di un fondo comune in UE per il finanziamento delle spese militari sul modello del Next Generation EU. Dal suo punto di vista è comprensibile. La Germania paga interessi inferiori a quelli di Bruxelles, per cui sarebbe costretta a spendere di più. Resta il problema di come tendere a spese militari così elevate, partendo da livelli così mediamente bassi. Si renderanno obbligatori tagli alle altre voci di bilancio (quali?) e/o aumenti delle entrate. E questo renderà il riarmo europeo particolarmente inviso ai cittadini, chiamati a compiere sacrifici. Quand’anche finanziassimo tali aumenti in deficit e il mercato ce lo consentisse, saremmo chiamati a pagare interessi più alti sull’intero debito.

E ciò a sua volta limiterebbe i margini di manovra di tutti i governi europei nel caso di crisi. Al vertice NATO di fine giugno rischiamo di prendere impegni insostenibili per il semplice gusto di non sfigurare con l’amico americano.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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