Riforma pensioni: anche con l’uscita a 64 anni e penalizzazione i conti non tornano

Anche andare in pensione a 64 anni di età con penalizzazione è costoso per lo Stato. Due ragioni che spiegano la riluttanza del governo a cambiare le regole.
3 anni fa
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Riforma pensioni sempre più al palo e con scarse possibilità di riuscita entro l’anno. Il governo Draghi non metterà un centesimo a deficit per cambiare le regole previste dalla Fornero.

Fra le varie ipotesi di riforma pensioni per il 2023 circolate in questi ultimi mesi, quella che più potrebbe avere credibilità riguarda l’uscita a 64 anni con ricalcolo contributivo per chi ricade nel regime misto.

In pensione a 64 anni con penalizzazione

I lavoratori dovrebbero sopportare un taglio all’assegno medio del 10-12% rispetto alla liquidazione col sistema misto.

Una scelta che spetterebbe solo al contribuente a fronte di una uscita anticipata fino a 3 anni rispetto alle regole ordinarie.

In questi termini la riforma sarebbe digeribile dal sistema perché non peserebbe sulla spesa corrente e i conti resterebbero in equilibrio. Molti lavoratori accetterebbero di buon grado l’uscita anticipata anche a fronte di un taglio della rendita.

E fin qui nessun problema, anche i sindacati potrebbero essere d’accordo, visto che Quota 41 costerebbe troppo e l’ipotesi di pensione a 62 anni fa ormai parte dei sogni impossibili dei lavoratori.

Ma attenzione, perché secondo i calcoli preliminari effettuati dagli esperti di previdenza, non è tutto oro quello che luccica. E al Ministero del Lavoro, come all’Inps, lo sanno molto bene. Dare a tutti la possibilità di andare in pensione a 64 anni col ricalcolo contributivo peserebbe comunque nel lungo periodo.

Perché l’uscita col ricalcolo contributivo costa troppo

I motivi sono sostanzialmente due. Il primo è legato al fatto che lo Stato dovrebbe pagare la pensione ai cittadini per tre anni di più, benché ridotta in base al nuovo sistema di calcolo dell’assegno.

Il secondo, molto più importante, sta nei numeri dei potenziali beneficiari. Secondo le stime Inps sarebbero circa 55 mila gli aventi diritto a partire da gennaio 2023, cinque volte di più rispetto a quota 102 che vale fino al 31 dicembre di quest’anno.

Cosa significa questo? In pratica lo Stato, alla fine dei conti, dovrebbe supportare una spesa maggiore rispetto alle previsioni perché saranno tanti i beneficiari. E il sistema, alla lunga, farebbe fatica a restare in equilibrio.

Non a caso Draghi ha concesso per il 2022 la possibilità ai lavoratori di uscire a 64 anni, ma con almeno 38 di contributi. Non solo, anche la legge attualmente in vigore che permette l’uscita a 64 anni per i contributivi puri richiede che la pensione calcolata sia pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale (1.310 euro al mese). Tutto ciò non è casuale.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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