Riforma delle pensioni, il 2027 sarà l’anno della svolta? Parlare di riforma delle pensioni sembra essere diventato quasi un tabù. L’argomento, un tempo centrale nel dibattito politico, oggi appare meno prioritario. Le urgenze sono cambiate: l’attuale governo sembra focalizzarsi maggiormente su questioni fiscali, mentre l’opinione pubblica è più interessata a temi come la sicurezza, le guerre in Ucraina e Palestina, i dazi commerciali, e così via.
Nel frattempo, anche i sindacati – o almeno quelli che hanno promosso il referendum sul lavoro (la CISL, ad esempio, è assente dalla “triplice”) – si sono concentrati su altre battaglie. Eppure, della riforma pensionistica si continua a parlare, seppur in modo più marginale.
Il 2027 si profila come un anno cruciale per molte ragioni, che analizzeremo nel dettaglio.
Riforma delle pensioni: dal 2027 una notizia positiva e una negativa, ecco il quadro
Quando il governo Meloni si è insediato, la riforma delle pensioni era un tema di grande attualità. Le motivazioni sono chiare: durante la campagna elettorale, le promesse non sono mancate. Si parlava di:
- Quota 41 per tutti, proposta dalla Lega;
- Pensioni minime a 1.000 euro, promesse da Forza Italia;
- abolizione della riforma Fornero.
Con il passare del tempo, però, la riforma è stata rimandata, diventando un obiettivo di legislatura. Il governo ha indicato nel 2027 la scadenza naturale per introdurre eventuali novità, coincidente con la fine del mandato e il ritorno alle urne.
Riforma delle pensioni ma non solo: ecco perché il 2027 sarà l’anno decisivo
Il 2027 assume un’importanza strategica anche per un’altra ragione: all’orizzonte c’è una notizia negativa. Sebbene resti viva la speranza che il governo possa intervenire, è previsto un inasprimento dei requisiti sia per la pensione di vecchiaia che per quella anticipata.
Nello specifico:
- l’età per la pensione di vecchiaia potrebbe salire da 67 a 67 anni e 3 mesi;
- i requisiti contributivi per la pensione anticipata passerebbero da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 1 mese per gli uomini, e da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e 1 mese per le donne.
Tutto dipende dai dati ISTAT sull’aspettativa di vita, che è aumentata di 7 mesi, compensando il precedente calo di 4 mesi dovuto alla pandemia. Il risultato è l’incremento automatico di 3 mesi nei requisiti pensionistici.
L’unica possibilità per scongiurare l’aumento è un decreto del governo, da adottare in ogni caso, sia per:
- ratificare l’aumento previsto dall’ISTAT;
- bloccarlo, come promesso da alcuni esponenti dell’esecutivo.
Misure flessibili sempre più necessarie: ecco come potrebbero cambiare le regole
Proprio perché il 2027 rappresenta un punto di non ritorno a fine legislatura, alcune misure di flessibilità potrebbero finalmente vedere la luce.
È difficile immaginare che la Quota 103 sia ancora in vigore nel 2027: si tratta di una misura poco utilizzata, penalizzante e rigida. Il sistema, invece, ha bisogno di flessibilità reale.
Una delle ipotesi è introdurre una forbice anagrafica tra i 64 e i 72 anni, che consenta di:
- andare in pensione anticipatamente con almeno 25 anni di contributi;
- assegno pari ad almeno 1,5 volte l’Assegno Sociale;
- penalizzazioni per chi esce prima dei 67 anni;
- incentivi per chi resta oltre tale soglia.
Riforma delle pensioni e previdenza integrativa: ecco il piano
Altro tema centrale è l’uso della previdenza complementare per favorire il pensionamento anticipato nel sistema obbligatorio INPS.
Si parla, ad esempio, di:
- sfruttare il TFR o la rendita maturata nei fondi pensione per raggiungere prima la soglia di 1,5 volte l’Assegno Sociale;
- raggiungere, in altri scenari, anche soglie più elevate.
Un altro progetto prevede l’estensione della pensione anticipata contributiva, oggi destinata solo a chi ha iniziato a versare contributi dopo il 31 dicembre 1996, a tutti i lavoratori.
Attualmente, per accedere a questa misura, è necessaria una pensione pari a 3 volte l’Assegno Sociale. In futuro, però, si parla già di un possibile innalzamento a 3,2 volte.