Il più grande nemico di Vladimir Putin in questa fase? Non si chiama Volodymyr Zelensky, né NATO. Sono le patate in Russia a fare tremare il Cremlino. Il tubero ne minaccia la strategia bellica impostata da oltre tre anni a questa parte. L’anno scorso, il prezzo al dettaglio è quasi raddoppiato, salendo del 92% rispetto al 2023. E le cose stanno peggiorando: al 28 aprile scorso l’incremento annuale era del 173%. I prezzi sono già quasi triplicato e al supermercato superano i 100 rubli al kg, qualcosa come circa 1,13 euro. Non è poco per un Paese, dove un pensionato percepisce in media meno di 20.800 rubli al mese (meno di 235 euro) e un lavoratore non arriva a 88.000 rubli (poco più di 990 euro).
E nelle campagne le cifre scendono rapidamente.
Raccolti di patate in Russia giù
I prezzi delle patate in Russia stanno esplodendo a causa dei raccolti scarsi, seguiti alle gelate invernali e alla successiva siccità. Il presidente lo ha riconosciuto ufficialmente e ha eliminato i dazi sulle importazioni fino a 150.000 tonnellate da Paesi amici come Cina, Egitto e Uzbekistan. A fronte di una domanda di 8 milioni di tonnellate stimata invariata per quest’anno, l’offerta è scesa a 7,2 milioni di tonnellate nel 2024, segnando un calo di 1,2 milioni sul 2023.
Della questione Putin ne ha parlato anche con il collega bielorusso Aleksander Lukashenko. Quest’ultimo ha esortato le aziende locali a produrre più patate per la Russia e lo stesso mercato domestico. “Dobbiamo aiutare i nostri fratelli”, ha dichiarato. Peccato che anche Minsk abbia lo stesso problema. Il boom dei prezzi sta trainando l’inflazione russa, che ad aprile è stata del 10,2%, pur in leggerissimo calo dal 10,3% di marzo.
Un fenomeno che sta costringendo la governatrice Elvira Nabiullina a tenere alti i tassi di interesse, fissati al 21%. L’aumento del costo del denaro sta rallentando la crescita economica, che già di suo paga il concentramento di risorse nell’industria bellica.
Minacciata strategia bellica
Se la crescita del Pil si spegnesse del tutto, come i dati macro più recenti lasciano immaginare, proseguire con la guerra in Ucraina diventerà problematico per Putin. Già il 40% delle entrate fiscali è destinato a questo scopo. Non è sostenibile una riduzione del gettito, anche perché Mosca non può accedere al mercato del debito internazionale per via delle sanzioni occidentali. Deve ricorrere ai risparmi interni, che non sono sufficienti, o in alternativa ai prestiti bilaterali. Questa seconda opzione, oltre ad essere umiliante, consegnerebbe definitivamente la Russia in mano alla Cina.
Grandi economie, “piccoli” problemi
Le patate per la Russia stanno come il riso in Giappone. Anche Tokyo sta vivendo una situazione simile per effetto dei rincari patiti da questo piatto basilare della sua cucina e che sta facendo salire l’intero costo della vita. La sola prospettiva di tassi più alti sta facendo traballare il mercato obbligazionario, con contraccolpi che rischiano di essere globali, oltre che riguardare la stabilità fiscale del Sol Levante. Ma persino l’America affronta da mesi un’emergenza simile con le uova. La cosiddetta “eggflation“ ha fatto tremare nei mesi scorsi l’amministrazione Trump, che l’aveva ereditata da quella guidata dal predecessore Joe Biden.
Il prezzo per cartone era quadruplicato fin sopra gli 8 dollari, anche se al momento è sceso ai minimi da ottobre e a una media di 2,57 dollari.
Patate in Russia allarme da non sottovalutare
Al di là delle cause contingenti, il tema è lo stesso: grandi economie alle prese con problemi solo all’apparenza piccoli. Come non citare l’India, che di tanto in tanto vive il dramma delle cipolle? Alimenti di base, il cui costo può impattare la vita delle famiglie e generare malcontento, nonché destabilizzare i fondamentali macroeconomici. Episodi che ci ricordano come l’essere diventati società iper-tecnologiche, terziarizzate e sempre più dipendenti dall’Intelligenza Artificiale, non muta i nostri bisogni primari. Questi restano gli stessi sin dall’età delle caverne: mangiare e vestirsi rimangono necessità basilari che non ammettono deroghe. Fu la crisi alimentare a travolgere regimi all’apparenza incrollabili negli stati arabi tra il 2010 e il 2011.