Omessa dichiarazione IVA: scatta il reato anche con fatture false, parola della Cassazione

La Cassazione ribadisce che l’omessa dichiarazione IVA è reato anche con fatture false, se c’è intento evasivo.
4 settimane fa
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dichiarazione iva
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L’omessa dichiarazione IVA rappresenta uno dei reati tributari più insidiosi e dibattuti all’interno del panorama giuridico italiano. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la sentenza n. 18132 del 14 maggio 2025, ha fatto ulteriore chiarezza su aspetti fondamentali della fattispecie. In particolare soffermandosi in particolare sulla possibilità di integrare il reato anche in presenza di fatture oggettivamente false e sulla necessaria esistenza del dolo specifico ai fini della responsabilità penale.

La configurazione del reato di omessa dichiarazione IVA

L’omessa dichiarazione IVA, disciplinata dall’articolo 5 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si realizza quando il contribuente non presenta la dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, pur essendovi tenuto.

La norma punisce questo comportamento con sanzioni penali, a condizione che l’imposta evasa superi una determinata soglia.

Un punto particolarmente significativo toccato dalla Suprema Corte riguarda la validità giuridica dell’addebito anche in relazione a fatture per operazioni inesistenti. Contrariamente a quanto potrebbe apparire intuitivo, la Cassazione ha ribadito che l’emissione di fatture fittizie non esonera l’autore dall’obbligo di dichiarazione, poiché l’IVA relativa è comunque considerata dovuta dalla normativa tributaria, indipendentemente dalla sua effettiva riscossione. Tale orientamento trova conferma nella giurisprudenza consolidata (cfr. Cass. n. 32500/2018), che considera irrilevante, ai fini della sussistenza del reato, l’effettiva percezione dei compensi riportati nelle fatture.

Fatture false e obbligo dichiarativo: un legame inscindibile

Il principio espresso dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione ribadisce quindi l’esistenza di un vincolo formale tra emissione di fatture e obbligo dichiarativo. Anche quando le operazioni sottostanti risultino inesistenti, permane il dovere di presentare la dichiarazione IVA.

La logica sottesa a questo indirizzo risiede nell’intento del legislatore di evitare che l’utilizzo strumentale di documenti contabili fittizi possa diventare un veicolo per eludere l’adempimento degli obblighi fiscali.

Questo approccio impedisce che l’omessa dichiarazione venga giustificata sulla base dell’inesistenza delle operazioni sottese, chiudendo così la porta a un’interpretazione potenzialmente elusiva del sistema fiscale.

Il dolo specifico: contenuto e limiti dell’accertamento

Tuttavia, la Cassazione ha accolto parzialmente le doglianze dell’imputato in relazione all’elemento soggettivo del reato. In materia di reati tributari, la configurabilità dell’omessa dichiarazione IVA non si fonda unicamente sulla condotta materiale, ma richiede anche la presenza del dolo specifico di evasione. Questo elemento si concretizza nella consapevolezza da parte del contribuente dell’ammontare esatto dell’imposta dovuta e del superamento della soglia di punibilità.

Secondo la Corte, non è sufficiente desumere automaticamente la presenza del dolo dalla posizione ricoperta dall’imputato (nel caso specifico, legale rappresentante di una associazione sportiva dilettantistica). La semplice titolarità di una carica gestionale, infatti, non può comportare un automatismo nella valutazione della consapevolezza richiesta dalla norma penale.

Omessa dichiarazione IVA: l’insufficienza della qualifica e della competenza tecnica

La sentenza in esame critica l’approccio dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto che la qualifica professionale dell’imputato fosse di per sé sufficiente a dimostrare la presenza del dolo.

La Suprema Corte sottolinea invece come il dolo specifico richieda una concreta e specifica intenzione di evasione, che non può essere presunta dalla sola capacità tecnica del soggetto, né dalla sua conoscenza del bilancio o dei principi contabili.

Ciò che rileva, ai fini della punibilità, è la coscienza effettiva dell’obbligazione tributaria e della volontà di sottrarvisi, tanto più se l’importo evaso supera i limiti fissati dalla legge.

Gli indici sintomatici dell’intento evasivo

In base alla giurisprudenza più recente (cfr. Cass. n. 44507/2024), per poter affermare la sussistenza del dolo specifico nell’ambito del reato di omessa dichiarazione IVA, è necessario che sussistano ulteriori elementi indiziari. Tra questi, assumono rilievo il reiterarsi dell’omissione nel tempo, l’assenza di tentativi di regolarizzazione spontanea dell’imposta non versata e il mancato pagamento anche a distanza di tempo ragionevole dalla scadenza.

Questi fattori consentono di rafforzare il quadro probatorio circa la reale intenzione del soggetto di eludere il fisco e di aggirare sistematicamente gli obblighi dichiarativi.

Il caso concreto sull’omessa dichiarazione IVA: la posizione del rappresentante legale di una ASD

La vicenda oggetto della sentenza n. 18132/2025 riguarda un legale rappresentante di un’associazione sportiva dilettantistica, accusato di omessa dichiarazione IVA in presenza di fatture false. Pur riconoscendo la configurabilità del reato sotto il profilo oggettivo, la Cassazione ha rilevato che la motivazione della sentenza di merito era carente quanto alla prova del dolo specifico, poiché fondata esclusivamente sulla carica ricoperta.

Il procedimento viene così parzialmente annullato, con rinvio al giudice competente per un nuovo esame della responsabilità soggettiva, che dovrà fondarsi su presupposti più solidi e conformi alla giurisprudenza di legittimità.

Conclusioni

La sentenza della Corte di Cassazione ribadisce e rafforza alcuni principi fondamentali in materia di reati tributari. In particolare, afferma che l’omessa dichiarazione IVA può sussistere anche in presenza di fatture non autentiche, in quanto la normativa impone l’obbligo dichiarativo anche per operazioni inesistenti.

Tuttavia, la responsabilità penale per tale reato non può fondarsi esclusivamente su presunzioni legate alla posizione dell’imputato. Occorre una verifica approfondita della sussistenza del dolo specifico, inteso come volontà consapevole di evadere l’imposta dovuta.

In assenza di indizi gravi, precisi e concordanti a sostegno di tale intenzionalità, non è possibile configurare la responsabilità penale.

La pronuncia, dunque, si colloca nel solco di una giurisprudenza che tende a tutelare da un lato l’effettività del sistema tributario, ma dall’altro garantisce i principi costituzionali del diritto penale, come la personalità della responsabilità e il rispetto del principio di colpevolezza.

Riassumendo

  • L’omessa dichiarazione IVA sussiste anche con fatture per operazioni inesistenti.
  • L’obbligo dichiarativo vale indipendentemente dall’incasso effettivo delle fatture false.
  • Il dolo specifico richiede consapevolezza dell’importo evaso e superamento soglia punibilità.
  • Non basta ricoprire una carica per presumere l’intento di evasione fiscale.
  • Indizi come omissioni reiterate o mancato pagamento dimostrano il dolo specifico.
  • La Cassazione annulla in parte per carenza di motivazione sull’intenzionalità evasiva.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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