Il Venezuela tenta di ristrutturare il debito. Lo ha annunciato lo stesso presidente Nicolas Maduro dopo aver comunicato ufficialmente che PDVSA ha rimborsato l’ultimo bond in scadenza lo scorso 2 novembre per quasi 1,2 miliardi di dollari e dopo aver saldato una tranche da oltre 800 milioni lo scorso 27 ottobre.

 

Come noto, la situazione debitoria del Paese è critica, stretta a tenaglia da un’inflazione galoppante e il prezzo del petrolio crollato da tre anni a questa parte di oltre il 50%. Livello di prezzo che non consente al Venezuela, che basa il suo budget statale per il 95% sull’export di greggio, di continuare a sostenere gli alti costi del debito pubblico.

In tutto circa 120 miliardi di dollari, appesantiti anche dalle recenti sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti. Un annuncio non a sorpresa, visto il rendimento dei bond e il prezzo distressed, e che arriva a un anno dalle elezioni presidenziali e dopo il successo del risultato elettorale delle elezioni regionali che vedono il presidente Maduro favorito nei sondaggi. Ma al di là del fattore politico, pare che le pressioni a rinegoziare il debito internazionale, per il quale il Venezuela rischierebbe il default nei prossimi anni, siano arrivate soprattutto da Cina e Russia che avrebbero chiesto al governo di ridimensionare i costi di finanziamento in cambio del continuo sostegno economico esterno al Paese.

 

La ristrutturazione dei bond venezuelani

 

Come verrà ristrutturato il debito? Questo è il dubbio che molti investitori si stanno ponendo, in quanto non c’è nessuna intenzione da parte del Venezuela di sospendere i pagamenti e dichiararsi insolvente. Né, pare, Maduro abbia intenzioni di piegarsi ai diktat del Fondo Monetario Internazionale che, in cambio di prestiti miliardari in valuta pregiata, imporrebbe un drastico taglio del valore nominale dei bond ricalcando quanto accaduto nel 2001 in Argentina. L’opzione più probabile – secondo gli esperti – sarebbe quella già perseguita tre anni fa per la ristrutturazione su base volontaria di alcuni bond della Compagnia Petrolifera Statale Petroleos de Venezuela (PDVSA) PDVSA di breve scadenza.

Una mossa che si è rivelata vincente, ma che ha avuto un respiro di breve periodo, cioè è stata fatta per prendere tempo nella speranza che il prezzo del petrolio sui mercati internazionali risalisse.

 

I bond governativi e PDVSA

 

Tecnicamente i bond, sia quelli governativi che quelli di PDVSA e che costituiscono la quasi totalità del debito esterno, hanno bisogno di un ampio consenso per poter essere ristrutturati integralmente da parte dell’emittente sulla base delle cosi dette clausole di azione collettiva (CAC). In alcuni casi, come per le obbligazioni Venezuela 2018 e 2027, occorre addirittura il 100% del consenso dei creditori, così come per PDVSA. Ecco quindi che la strada obbligata è quella delle adesioni su base volontaria. Allo studio vi sarebbero sostanzialmente due opzioni o una combinazione di esse: il taglio delle cedole e l’allungamento delle scadenze. Il tutto dopo aver venduto ingenti quantità d’oro per stare a galla nel 2017. Alcuni investitori internazionali, che avevano già subodorato la manovra, potrebbero anche aderire in futuro a una possibile offerta di scambio, ma resta poi da vedere come, in che misura e se lo swap sarà sostenibile in mancanza di una risalita dei prezzi del petrolio. Il tutto in attesa di elezioni per le quali Maduro vuole assolutamente evitare da un lato, il default e, dall’altro l’acuirsi della crisi sociale. Ma anche la riconferma ai vertici del potere politico e istituzionale che non potrà avvenire (a questo punto) senza l’appoggio esterno dei creditori internazionali, soprattutto russi e cinesi. Il governo venezuelano ha infatti già annunciato un aumento dei salari e che non intende tagliare ulteriormente il livello delle importazioni di beni di prima necessità.

Ce la farà?