La Federal Reserve ha avviato l’acquisto anche dei corporate bond cosiddetti “angeli caduti”, cioè del debito emesso sui mercati dalle società americane e declassato a “junk” a seguito della crisi scatenatasi per il Coronavirus. L’obiettivo dell’istituto consiste nell’offrire sostegno a quella porzione del mercato obbligazionario che sta soffrendo per la pandemia, alleviandone i costi ed evitando un ulteriore deterioramento dei bilanci. La conseguenza di questa azione è stata un crollo del rendimento medio dei titoli con rating “BB” di 350 punti base al 5,46% in meno di un mese.

In termini di prezzo, la risalita è stata di oltre il 40%, stando all’apposito indice di S&P 500.

La Fed sostiene l’azzardo e la prima emissione “high yield” dal 4 marzo è stata un grande successo

Le “BB” sono le obbligazioni con rating più solido tra le “high yield”, note anche come “spazzatura” o “junk”. E verosimilmente, quando un bond viene declassato dall’area “investment grade”, che arriva fino a un minimo di “BBB-“, il giudizio che le agenzie gli assegnano è proprio la doppia “B”, con il segno più o meno o senza alcun segno. Quindi, l’intervento della Fed ha permesso a questa porzione di debito di apprezzarsi anche nei confronti delle obbligazioni “BBB”, restringendo gli spread in area 180 punti base. Alla terza settimana di marzo, si attestava a circa 440 bp.

E nell’Eurozona? La BCE non ha annunciato alcunché di simile, almeno non per il comparto corporate, mentre ha rinunciato alla clausola per la quale può acquistare per il suo “quantitative easing” solo titoli di stato con rating “investment grade”, così da inserire i bond della Grecia in portafoglio. Gli analisti stanno scommettendo che prima o poi arriverà a fare lo stesso sui bond emessi dal settore privato con rating declassato a “spazzatura” in questo periodo di forti tensioni, anche perché essi assorbono la stragrande maggioranza delle emissioni ad alto rendimento.

Le “BB” si riprendono anche nell’Eurozona

Sarà un caso, ma anche nell’unione monetaria si sta registrando un miglioramento netto proprio di questo comparto obbligazionario. Gli spread medi sono implosi dall’8,66% del 23 marzo al 6,31% di venerdì scorso, scendendo così nettamente dai massimi degli ultimi 8 anni e segnalando una maggiore propensione al rischio del mercato. Certo, rispetto al periodo pre-Coronavirus, il differenziale si attesta su livelli più che doppi, ma il miglioramento è visibile e probabilmente legato anch’esso alle aspettative sulle azioni di Francoforte.

In generale, se ciò avvenisse sarebbe un miglioramento per tutto il comparto “high yield”, in quanto spiazzerebbe i capitali verso i titoli ancora teoricamente più rischiosi, quelli dal rating “B+” in giù. Si direbbe che sia arrivato il momento di assumersi qualche rischio e di inserire in portafoglio una quota minima di questi bond, così da approfittare degli apprezzamenti che seguirebbero all’eventuale annuncio della BCE. Per contro, non dobbiamo dimenticare che Francoforte garantisce certamente condizioni monetarie quanto più favorevoli al credito verso l’insieme delle imprese nell’area, ma per ciò stesso non significa che riesca a mantenerle in vita tutte, quale che sia l’evolversi dell’economia reale.

Le “high yield” sono imprese con bassa affidabilità creditizia per via del loro elevato grado di indebitamento e solitamente sono tra le prime a saltare in aria in situazioni di crisi, perché il calo del fatturato rende ancora meno sostenibili le passività. Mantenerne i costi bassi, anche con soluzioni artificiose come quella già messa in atto dalla Fed, serve per allontanare lo spettro del default, non per eliminarlo del tutto. Dunque, cercare le occasioni sì, ma senza farci prendere da un ottimismo ingiustificato. Bisogna valutare con attenzione la natura pro- o anti-ciclica del business dell’emittente e le prospettive del comparto di appartenenza e specifiche dopo l’emergenza.

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