Remo Ruffini, amministratore delegato e azionista di riferimento di Moncler, ha confermato i contatti con il gruppo del lusso francese Kering, pur precisando che si tratti di una delle interlocuzioni che la società dei piumini è solita intrattenere e che non vi sarebbe al momento alcuna offerta precisa. Fatto sta che il mercato ci crede e il prezzo di ciascuna azione è salito di quasi il 9% in un paio di sedute. Se offerta sarà, ci si attende che avverrà a premio rispetto alle attuali quotazioni in area 42 euro, probabilmente a circa 50 euro.
Moncler: Ruffini conferma contatti, ecco cosa dicono gli analisti
E dire che Moncler negli anni Novanta stesse messa male. Il rilancio è arrivato grazie a Ruffini e da allora è stato solo un crescendo, fino allo sbarco in borsa a fine 2013, avvenuto a 10,20 euro per azione. Da allora, la crescita è stata del 315%, pari a una media del 26,7% all’anno. Nel 2018, la società ha chiuso con un utile netto di 138,7 milioni su un fatturato di 237,6 milioni. Il bilancio consolidato parla, invece, di 1,42 miliardi di fatturato e di 332,5 milioni di utili, mentre il debito finanziario a lungo termine supera a stento gli 80 milioni.
Non è la prima volta che i francesi mettono gli occhi sui marchi del lusso italiano. Il gruppo Kering già possiede Gucci, Pomellato, Brioni e Bottega Veneta. Il rivale Lvhm, il colosso di Louis Vuitton, negli anni ha risposto con Fendi, Loro Piana e Bulgari. E nelle ultime settimane, ha avanzato un’offerta formale per Tiffany, azienda americana attiva nella vendita di gioielli e sinonimo di stile ed eleganza nel mondo. A quanto si capisce, la parola d’ordine nel mondo del lusso sarebbe “diversificazione”. Nel caso di Kering, ciò avverrebbe parzialmente, ma almeno il gruppo diverrebbe attivo in un segmento in cui attualmente non opera.
Anche il Milan nel mirino dei francesi
Qualcuno lamenterà che l’ennesimo gioiello italiano stia per trasferirsi all’estero, ma a parte rispondere che un’azienda sia come una pianta e che per non farla morire sia necessario annaffiarla, a colpi di investimenti e, quindi, richiedendosi capitali freschi, l’errore maggiore che potremmo commettere sarebbe pensare che un gruppo straniero, una volta acquisito un marchio italiano del lusso, finisca per depredarlo delle sue energie umane e del suo “know how”. Sarebbe un suicidio insensato e il successo di Gucci sotto Lvhm lo dimostra.
E Moncler non è l’unico marchio made in Italy nel mirino di Parigi. Proprio Louis Vuitton starebbe da mesi rivolgendo attenzioni al Milan. Il club rossonero versa in profonda crisi finanziaria e sportiva. Ha una proprietà solo temporanea – il fondo americano Elliott, prima creditore e dall’estate 2018 divenuto azionista praticamente unico – e gli serve un nuovo riferimento stabile, come lo fu Silvio Berlusconi per 31 anni, di cui 20 trascorsi all’insegna di successi insperati stando alle migliori previsioni iniziali. Che ci azzeccherebbe una squadra di calcio con un colosso della moda? Non certo per le magliette dei giocatori. Il calcio fa sognare, smuove passioni tra milioni di tifosi nel mondo, al contempo potrebbe diventare veicolo di trasmissione di un messaggio più ampio rivolto alla bellezza e completare il successo di un gruppo, avvicinandolo a una realtà più “popolare”.
Moncler e Milan sotto i riflettori dei due nemici del lusso francese, un’ottima notizia per l’Italia. Significa che le nostre aziende, sia che navighino finanziariamente in buone o in cattive acque, attirano gli appetiti degli stranieri, sono considerati asset di pregio e smuovono sentimenti positivi. Certo, poi se si rivelassero veritiere le ricostruzioni che si leggono sui siti dei tifosi rossoneri, raggiungeremmo l’optimum: Vuitton vorrebbe niente di meno che il sei volte pallone d’oro Lionel Messi a calpestare l’erbetta di San Siro e Pep Guardiola in panchina.
Stipendi giocatori Milan a rischio tagli con piano Gazidis