La folle ondata di dimissioni sta insegnando qualcosa al mondo del lavoro. La settimana corta diventa così il topic del momento: se moltissimi lavoratori lasciano le aziende per trovare condizioni di lavoro più flessibili, una risposta da parte delle aziende dovrà esserci. La pandemia, fermandoci forzatamente, ci ha fatto capire che il nostro tempo personale, dedicato alla famiglia o alle proprie passioni, è un bene prezioso che non può più essere negoziato. Abbiamo compreso che il sacrificio a ogni costo, corredato di straordinari obbligati e non pagati, weekend passati al pc e tripli salti mortali non valgono la pena.

Se all’estero la tendenza ha portato cambiamenti più rapidi nel mondo del lavoro, in Italia permane la resistenza del vecchio modello aziendale per il quale o fai sanguinosi sacrifici e gradisci lo sfruttamento o non hai voglia di lavorare. Con grande fatica, però man mano qualcosa cambia. Sempre più aziende con base nel nostro Paese stanno proponendo modelli alternativi di lavoro. Oltre allo smart working, arriva la settimana corta in varie forme, compresa la flexy week, che consentono un più semplice bilanciamento tra vita professionale e vita privata.

Perché la settimana corta è il topic del momento

Dall’estero arrivano da tempo esempi di aziende che adottano la settimana corta come strategia per restituire un po’ di tempo personale ai lavoratori. Così facendo, li rendono più felici, soddisfatti e quindi maggiormente produttivi. Nessuna teoria rivoluzionaria dietro questa novità, nella realtà, ma una semplice osservazione dei fatti. Più si è spremuti sul lavoro, meno tempo resta per la vita personale, più il lavoratore è stanco, infelice e meno performante. La sperimentazione è partita nel nord dell’Europa e raccoglie timide manifestazioni d’entusiasmo, ma man mano sempre più numerose.

L’idea è quella di permettere ai lavoratori di lavorare su 4 giorni, lasciando il venerdì libero da sommare al weekend, mantenendo gli stipendi come sono.

C’è chi adotta un’altra forma della stessa flessibilità, ovvero un giorno libero o due mezze giornate da gestirsi all’interno della settimana. Se molte aziende non sono pronte a proporre queste rimodulazioni dell’orario, secondo William Griffini, ceo della società di consulenza e di head hunting Carter & Benson che ha detto la sua al Il Sole 24 Ore:

“Ci sono tanti amministratori delegati e imprenditori che hanno voglia di innovare i modelli organizzativi. Serve passare dalla cultura del controllo a quella della fiducia nei propri collaboratori. Noi adottiamo la settimana corta dal 2019 e i risultati sul fatturato si vedono: chi è più felice vende un prodotto migliore”.

La spinta maggiore in questo senso arriva dalle grandi imprese, soprattutto le multinazionali, che trovano a confrontarsi con le proprie sedi sparse all’estero e ne colgono gli aspetti organizzativi. Al momento la settimana corta è già realtà in Belgio, Islanda, Spagna, Norvegia e Regno Unito. A volte è addirittura agevolata dalla normativa. In Italia, per ora, possiamo osservare sperimentazioni che appartengono alle iniziative della singola azienda.

Le aziende che la stano sperimentando in Italia

Uno degli esempi virtuosi in Italia è quello della banca Intesa San Paolo. Da gennaio 2023 prevede la settimana corta per i suoi 74mila dipendenti. Permette infatti di lavorare 9 ore invece che 8 per i 4 giorni lavorativi e, di conseguenza, lavorarne uno di meno a scelta. L’utilizzo di questa facilitazione sarà su base volontaria e la retribuzione dovrebbe rimanere la stessa, compatibilmente con le esigenze produttive della Banca.

Include inoltre la possibilità di lavorare in smart working fino a 120 giorni all’anno senza limiti mensili, con un’indennità di 3 euro per sostenere le spese che si generano lavorando da casa. Il secondo esempio è quello di Tria Spa, azienda che produce macchine per il riciclo della plastica posta a Cologno Monzese.

Un accordo interno prevede che, da gennaio a luglio 2023, si sperimenti la chiusura degli uffici il venerdì alle 12 con tre ore di Rol (permessi retribuiti in busta paga) per tutti i dipendenti. I responsabili hanno dichiarato:

“Aldilà dello smart working, volevamo introdurre una misura valida per tutti, per essere più moderni e più attrattivi”.

Toyota Material Handling, a Bologna, ha iniziato a proporre turni di sette ore pagati come fossero di otto. Awin Italia, divisione nazionale di un network globale dedito al marketing, applica già una forma di settimana corta dal 2021. Permette infatti di prendere una giornata libera o due mezze giornate libere a settimana. Un’iniziativa che, insieme allo smart working, ha permesso alla sede italiana di chiudere a luglio e agosto e lavorare da casa.

Passando a un esempio straniero, Desigual, brand di moda spagnolo, ha adottato la settimana corta per 500 lavoratori negli uffici centrali di Barcellona. L’iniziativa prevede però una decurtazione della retribuzione del 6,5%. Una scelta che si può spiegare con i tempi di crisi che stiamo vivendo.

Settimana corta: alcuni aspetti organizzativi da rivedere

Se la maggior parte delle aziende che mettono alla prova la settimana corta in Italia, a parità di retribuzione, aumentano, restano alcuni aspetti organizzativi da affrontare. Ad esempio, la necessità di non far crescere a dismisura il monte ferie che, con un giorno libero in più a settimana, potrebbero non essere utilizzate. Vanno anche formati i manager perché sappiano riorganizzare il lavoro senza incorrere nel solito errore: pretendere salti mortali per meno giorni, ma con ancora più pressioni sul lavoratore.