Un’altra asta in sottotono, questa volta avente ad oggetto l’emissione dei bond a 40 anni. Il Giappone ha raccolto oggi 500 miliardi di yen (3,06 miliardi di euro), ricevendo richieste per 2,21 volte maggiori, il rapporto più basso dal luglio scorso e sotto la media storica di 3. La reazione del mercato del debito sovrano è stata immediata, con i rendimenti in salita sul tratto ultra-lungo della curva dei tassi. Nei giorni scorsi, era stato l’esito negativo dell’asta a 20 anni, andata semi-deserta, ad avere trainato i rendimenti in rialzo e fino a segnare record assoluti sul tratto più longevo.
Meno bond lunghi in emissione
Per evitare il ripetersi di un simile scenario il governo ha fatto diffondere la voce di stare studiando il taglio delle emissioni di bond ultra-lunghi.
I rendimenti sono scesi dai massimi della seduta per le scadenze a 20, 30 e 40 anni. Al contrario, sono risaliti per la scadenza a 10 anni. Le contrattazioni hanno chiuso con il decennale all’1,51%, il trentennale al 2,92% e il bond a 40 anni al 3,36%. L’apice per quest’ultimo era stato toccato sopra il 3,65% dopo il precedente flop all’asta.
Il taglio delle emissioni a 20, 30 e 40 anni è stato percepito dal mercato del debito quale volontà del governo di contenere i costi a carico del bilancio statale. La spesa per interessi può esplodere a Tokyo, considerato un indebitamento pubblico in area 250% del Pil. Si è attestata a 9.700 miliardi di yen nel 2024, pari all’1,6% del Pil. All’inizio di quest’anno il Ministero delle Finanze stimava il dato in crescita al 2% quest’anno e al 2,5% nel 2028. Probabile che tali stime vengano riviste al rialzo, dati i recenti sviluppi inattesi dei bond.
Costi di emissione in crescita
L’annuncio del Giappone è tutt’altro che rassicurante. Anziché tagliare il debito da collocare sul mercato con una politica fiscale più ordinata, il governo punta a ridurre le scadenze medie. Questo è esattamente il contrario di ciò che serve a uno stato particolarmente indebitato. L’operazione può funzionare per contenere i costi di emissione nel breve periodo, ma nel medio e lungo periodo rischia di provocare instabilità. Di fatto, i conti pubblici sarebbero maggiormente esposti alle variazioni dei tassi di mercato. E la maggiore domanda di bond corti porterà inevitabilmente alla risalita dei rendimenti su quel tratto della curva.
Così come negli anni scorsi il Giappone aveva anticipato l’era dei tassi negativi, anche questa volta può fare scuola. Rispetto a quanto avvenuto nei decenni passati, durante i quali i governi hanno allungato le scadenze medie dei rispettivi debiti, adesso verrebbe attuata una politica di segno opposto. E questo non depone a favore della solidità fiscale. Rischiamo di disfare il lavoro svolto in passato per rendere più sostenibile e credibile il debito sul mercato. Con la conseguenza non secondaria di impattare negativamente anche in ciclo economico, il quale risente di più dei rendimenti di medio-breve periodo che non di quelli ultra-lunghi.
Mercato del debito sovrano sotto pressione
La Banca del Giappone ha le mani legate.
Pur possedendo il 52% dell’intero mercato del debito sovrano locale, non può più permettersi di tenere la politica monetaria troppo allentata. Dagli acquisti è già passata alla riduzione dei bond a bilancio e i tassi da negativi sono saliti allo 0,50%, ancora poco rispetto ad un’inflazione in aprile al 3,6%. Lo yen guadagna contro il dollaro il 9% da inizio anno, proprio grazie alla prospettiva sui tassi. Il governatore Kazuo Ueda deve sperare che ciò si traduca quanto prima in una decelerazione dell’inflazione, così da evitare ulteriori strette nei prossimi mesi. Ad oggi i dati vanno in tutt’altra direzione. E la febbre dei rendimenti sale.