Nel precedente articolo abbiamo parlato di cosa sono i CDS, come funzionano e dove vengono negoziati. Nella presente trattazione si vuole illustrale la loro storia, le implicazioni che hanno avuto durante la crisi finanziaria e da quale organismo vengono regolamentati

Storia

L’emissione del primo CDS è datata nel giugno del ’94 quando un gruppo di esperti di JP Morgan si riunì un weekend in Florida, presso la località di Boca Raton. Durante quel periodo JP Morgan doveva risolvere un problema di un grande ed importante cliente che richiedeva una ingente linea di credito pari a circa 5 miliardi di dollari.

Il cliente a cui serviva quella linea di credito era Exxon che, nel 1989 provocò un disastro tale per cui, dopo diversi equivoci un cambio di rotta porto la nave a scontrarsi contro una scogliera disperdendo nell’ambiente circa 42.000 m³ di greggio e inquinando 1.900 km di coste; migliaia di animali persero la vita a causa dell’incidente, con stime che raccontano la morte didi 250.000 uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 250 aquile di mare testabianca, 22 orche e miliardi di uova di salmone e aringa. Nel 1991 la Exxon Mobil fu condannata civilmente e penalmente a risarcire oltre un miliardo di dollari, il risarcimento più grande mai visto per un disastro industriale.

Tornando a noi il problema era dato dal rispetto delle regole del comitato interbancario di Basilea, tali per cui un istituto creditizio doveva detenere un buffer di liquidità di almeno l’8% rispetto all’attivo ponderato per il rischio, una sorta di garanzia del rischio assunto con le varie controparti.

In merito a quel cliente occorreva quindi detenere una riserva di liquidità che sarebbe rimasta immobilizzata, infruttuosa. Fatta la legge? Trovato l’inganno… Occorreva quindi escogitare un sistema per fornire la liquidità necessaria alla linea di credito in questione aggirando le regole di Basilea…

Un componente del gruppo, il noto Blythe Masters, durante il suddetto incontro pensò di utilizzare un derivato già conosciuto, lo swap, in modo tale da trasferire il rischio di credito di quel cliente ad un terzo soggetto.

Ecco che come terzo soggetto intervenne la Banca Europea per la Ricorstruzione e lo Sviluppo (ERBD), che si fece carico del rischio e dell’impegno di ripagare la a linea di credito concessa qualora il debitore divenisse insolvente o fallisse. JP Morgan, da parte sua doveva corrispondere, per tutta la durata del contratto, un interesse alla EBRD: in tal modo non vi era più il bisogno di detenere la liquidità per il rispetto delle regole poiché il rischio di credito era trasferito alla ERBD e, di fatto, nacque il primo CDS.

Nel 1997  JP Morgan creò un prodotto proprietario chiamato BISTRO (Broad Index Securitised Trust Offering) che utilizzava CDS per ripulire il bilancio di una banca e migliorare la qualità dell’attivo. La peculiarità del BISTRO era quella di utilizzare la cartolarizzazione mediante tecniche di tranching per frazionare il rischio di credito in tranche più piccole che gli investitori retail trovavano più appetibili; ciò in quanto la maggior parte degli investitori non aveva la capacità della ERBD di accettare un operazione da quasi 5 miliardi di dollari di rischio di credito in una volta. Fu così che di fatto il BISTRO rappresentò la prima casistica di titolo sintetico di debito collateralizzato (CDO, per maggiori informazioni sui CDO si veda anche Le motivazioni della crisi finanziaria 2007-2009: de-regolazione del credito e uso scorretto della cartolarizzazione)

In seguito diversi intermediari cominciarono a replicare tale modalità di copertura del rischio di credito e nel 1998 la quantità di CDS in circolazione ammontava a circa 300 miliardi di dollari.

Nonostante di li a poco crebbe a dismisura l’utilizzo dei CDS, prima della crisi finanziaria tale prodotto era quasi sconosciuto alla maggioranza della comunità finanziaria.

Implicazioni nella crisi finanziaria

In tale sezione si vuole spiegare il ruolo dei CDS avuto durante la crisi finanziaria

Il caso Michael Burry, Lehman Brothers e AIG

Nel 2005, prima dello scoppio della bolla immobiliare Michael Burry, fondatore dell’hedge fund Scion Capital che ha gestito dal 2000 al 2008 si accorse che tutti i rating delle agenzie sugli investimenti immobiliari erano pesantemente gonfiati. Per avere questa illuminazione cominciò ossessivamente a scandagliare tutte le pratiche di mutuo sottostanti a MBS e CDO (nel caso di CDO square e cube, ossia CDO di CDO di CDO era quasi impossibile risalire ai mutui che li avevano originati), convincendosi con quasi assoluta certezza che la stragrande maggioranza dei derivati su mutui ipotecari (anche le tranche di CDO tripla A ad esempio) erano gonfiati dalle agenzie di rating.

Cominciò così a negoziare con Goldman Sachs e altre banche d’affari per acquistare CDS sui suddetti prodotti fino ad allora ritenuti sicuri, tant’è che i dipendenti delle banche d’affari gli risero quasi addosso pensando di fiutare un’affare. Così Burry inizio a pagare i premi di CDS assicurandosi contro un mercato immobiliare che continuava a salire, provocando l’ira e lo sconcerto di tutti gli investitori di Scion Capital. Quando però la bolla scoppiò, le banche d’affari corsero a ricomprare i CDS che Burry stipulò registrando enormi profitti. Per dirla alla Burry: “I don’t go out looking for good shorts. I’m spending my time looking for good longs. I shorted mortgages because I had to. Every bit of logic I had led me to this trade and I had to do it.”

Dopo lo scoppio della bolla immobiliare, trasferitasi rapidamente al sistema bancario tramite lo shadow banking system (per maggiori informazioni si legga il suddetto articolo), il più grande gruppo assicurativo americano (AIG) risultava posto come protection seller su un nozionale di svariati miliardi di dollari su prodotti cartolarizzati aventi come sottostanti mutui ipotecari.

Il disastro origina però dagli ultimi anni ‘90, epoca in cui la divisione finanziaria della compagnia ha iniziato a scambiare ingenti quantità di CDS.  AIG era esposta sul mercato dei CDS per un valore complessivo di circa 538 miliardi e utilizzava la porzione più grande dei premi incassati per reinvestirli in titoli obbligazionari cartolarizzati su prestiti ipotecari. Questi movimenti sono stati estremamente profittevoli, tant’è che in soli 5 anni i ricavi sono passati da 737 milioni a 3 miliardi.

Fin qui tutto bene, fino a quando la situazione divenne insostenibile: esplosa la bolla immobiliare, e soprattutto dopo il fallimento di Lehman Brother, i Dealer che prima avevano acquistato CDS chiesero alla compagnia assicurativa garanzie aggiuntive di cui la compagnia non disponeva (la stessa Lehman Brother aveva in portafoglio 400 miliardi di titoli di debito coperti da CDS emessi da American Insurance Group). A seguito di tale evento il prezzo delle azioni crollò e, essendo considerata un entità “too big too fail” per il sistema finanziario americano (cosa che invece non avvenne per Lehman, principalmente esposta verso l’Europa), il governo intervenì con il TARP iniettando nel gruppo liquidità per 182 miliardi di dollari.

Il tutto viene accentuato dal fatto che invece di essere utilizzati come mero strumento di copertura (ossia comprare un CDS scritto sul debito di un titolo che si detiene), la maggior parte dei CDS dal 2000 in poi sono stati utilizzati come strumento come strumento speculativo; ossia comprando CDS su un titolo di debito che non si detiene per scommettere su un eventuale aumento delle probabilità di defalut della società che lo ha emesso, rivendendo quindi il CDS ad un prezzo maggiorato.

In più ci si metta il fatto che di frequente i CDS scritti su una determinata società supera il valore del debito della società stessa. Quando fallì Lehman Brothers il valore nozionale dei CDS in cui figurava la stessa banca d’affari come reference entity ammontavano a 400 miliardi, a fronte di un debito di 155 miliardi.

Il caso della Grecia

Dopo la crisi finanziaria il valore dei CDS  sul debito sovrano europeo è salito alle stelle, con stime che parlano di posizioni lorde per oltre 1.000 miliardi di dollari di CDS sul debito sovrano europeo. A quei tempi la principale preoccupazione era quella di proteggere il debito dei paesi europei meno forti (i cd PIIGS) da attacchi speculativi, ed ancora il costo della protezione da pagare (ossia il premio, definito anche come CDS Spread) contro il default del debito greco era abbastanza basso.

Quando le difficoltà della Grecia divennero evidenti e la via della ristrutturazione del debito apparì sempre più probabile, tant’è che da giugno 2010 il CDS Spread impennò dato l’aumento delle probabilità di default.

Dato che il Default greco era solo questione di tempo le stesse istituzioni finanziarie che si ponevano come protection sellers cominciarono a trasferire il rischio a terzi, oppure a giungere a degli accordi con i compratori di CDS per terminare il contratto dietro il pagamento di una somma di denaro per ridurre gli importi da pagare in caso di default.

Altri investitori  che detenevano CDS hanno invece preferito raddoppiare gli acquisti dei titoli di stato  greci. A primo impatto ciò sembra paradossale dato che i CDS rappresentano una scommessa sul default greco, mentre il fine era invece di sedere al tavolo del gruppo di investitori che prendono parte alle discussioni tra il governo greco e i detentori privati di titoli prima della ristrutturazione di metà marzo 2012. Quello che successe fu che i detentori di CDS chiesero al governo greco di ridurre al minimo i pagamenti derivati della ristrutturazione, cosicché maggiori sarebbero state le perdite per i
proprietari dei titoli, più alti i profitti attribuibili ai CDS.

Questi possessori di CDS sul debito greco hanno costituito una delle barriere principali al raggiungimento di un accordo diretto ad una ristrutturazione che potesse essere considerata come credit event. Inizialmente, l’85% dei creditori hanno accettato di scambiare i loro titoli di debito greco con dei nuovi di valore equivalente al 53% ai vecchi. Tale percentuale è salita al 95% tramite il ricorso a clausole di azione collettiva (CAC) che hanno obbligato l’altro gruppo di investitori ad accettare lo scambio. L’ISDA ha utilizzato i CAC per qualificare questo scambio come credit event e attivare i CDS nello stesso giorno dell’annuncio dell’accordo di ristrutturazione (il 9 marzo 2012). In tale sede è stato definito il calcolo dell’ammontare finale da pagare per le entità che vendono le protezioni.

CDS Spread come termometro della paura

Per avere un benchmark sulla rischiosità di un paese si fa spesso riferimento allo spread. Tale misura in europa indica la differenza di rendimento esistente fra un titolo di stato decennale di un determinato paese e il suo omologo tedesco, il bund, considerato il meno rischioso di tutti i paesi della zona euro.

Dato che a maggiori rendimenti attesi corrispondono anche maggiori rischi, maggiore il differenziale di rendimento col bund più elevata viene considerata la rischiosità del titolo di Stato il cui rendimento sale (attenzione: anche se più raro, un allargamento dello spread può essere attribuito ad una discesa nel rendimento del bund senza che necessariamente l’altro rendimento aumenti).

Anche se lo Spread BTP-Bund (per quanto riguarda l’Italia) rappresenta il termometro della rischiosità di un paese a mio avviso è il CDS spread il vero indicatore da tenere in considerazione. Secondo uno studio della Banque de France, nei paesi meno affidabili  (in Europa i cd PIIGS, Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna e Grecia, insomma, i PIIGS) i mercati dei Cds anticipano l’andamento dei prezzi delle obbligazioni; simmetricamente, nei paesi più virtuosi, devono essere presi a riferimento i mercati obbligazionari.

Dato che il valore di un CDS a 5 anni sul debito sovrano di un paese rispecchia esattamente il costo che il mercato è disposto a pagare per assicurarsi contro il default del paese in questione da qui a 5 anni, tale misura deve essere presa a riferimento per monitorare quanto il mercato percepisca il rischio di un default di un determinato Stato.

International Swap and Derivative Association e Naked CDS

Creata nel 1985, l’International Swap and Derivative Association (ISDA) è stata creata per regolamentare i contratti derivati negoziati OTC, quindi al di fuori dei mercati regolamentati.

Viene gestita dai principali operatori in derivati e ad essa aderiscono più di 800 soggetti finanziari che provengono da 60 diversi paesi nel mondo; sono iscritti società, investment managers, governi ed enti sovranazionali, compagnie di assicurazione, aziende attive nel settore energetico ed in quello delle materie prime, nonché banche internazionali e nazionali. Fanno parte dell’ISDA anche i soggetti primari dei mercati finanziari come le Borse Valori, le clearinghouses, i Monte Titoli, studi legali, società di revisione contabile e altri fornitori di servizi del settore finanziario.

Dato che regola i contratti derivati negoziati OTC stabilisce anche i vari tipi di CDS esistenti  e le varie clausole dei contratti standardizzati (l’ISDA Master Agreement è il modello che contiene le indicazioni, seguite a livello globale, per la stesura dei contratti derivati secondo uno schema prestabilito). Dato che il valore dei CDS dipende dal cd. valore di recupero dei contratti dopo la dichiarazione di evento relativo al credito, l’ISDA ha il compito di determinare i valori di recupero, ed in ultimo istanza i pagamenti finali dei CDS, attraverso un’asta sui titoli in default.

Queste aste hanno però delle caratteristiche particolari poiché  i detentori di CDS possono essere sono più numerosi dei detentori di titoli. I titoli in default difficilmente liquidabili circolano poco sui mercati, per cui gli scambi sul mercato dell’asta sono relativamente deboli se comparati al valore dei CDS.

Per la Grecia, l’asta è stata fatta il 19 marzo si è articolata in due fasi: durante la prima i possessori di titoli in default hanno dichiarato il prezzo di vendita e di acquisto ai quali erano disposti a negoziare questi strumenti; durante la seconda è stata dichiarata l’ intenzione a procedere o meno alla vendita o all’acquisto dopo aver stabilito dei prezzi nel corso della prima fase. Durante la vendita del 19 marzo, i titoli venduti hanno raggiunto 291 milioni di euro e il valore di recupero è stato fissato a 21,5 centesimi.

Il valore dei CDS a 78,5 centesimi ha generato degli obblighi di pagamento per 2,5 miliardi di dollari, pari circa 10 volte il valore dei titoli scambiati al momento dell’offerta su un totale di 3,1 miliardi di dollari di posizioni nette di CDS. In numeri significa che chi avesse acquistato CDS prima di giugno 2010 mantenendo la posizione fino alla fine, avrebbe ottenuto un profitto del 785%!

Divieto di Naked CDS in Europa

La possibilità di acquistare CDS senza avere nessuna relazione con la reference entity su cui è scritto il contratto (Naked CDS), ha portato a dimensioni del mercato di molto superiori  a quelle del debito sottostante, con la creazione di più contratti sulla stessa tranche di debito.
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Di conseguenza, nel momento in cui si realizza il credit event le perdite per i protection sellers possono essere di gran lunga superiori rispetto alle perdite dei diretti detentori del debito assicurato. Ciò può portare ad una destabilizzazione dei mercati, poiché se il mercato dei CDS entra in fermento si hanno
ripercussioni sul rispettivo mercato dei bond, con la discesa dei prezzi delle obbligazioni ed il connesso aumento del rendimento richiesto; ciò a sua volta impatta sui mercati azionari, con evidente effetto domino che passa dai mercati OTC a quelli regolamentati.

Ecco quindi che entra in campo il Regolamento (UE) N. 236/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, “relativo alle vendite allo scoperto e a taluni aspetti dei contratti derivati aventi ad oggetto la copertura del rischio di inadempimento dell’emittente (credit default swap)”.

Tra i punti salienti della normativa  vi è la definizione di posizione naked (scoperta) in credit default swap
su emittenti sovrani, quando i CDS “non servono a coprire:

  1. dal rischio di inadempimento dell’emittente, quando la persona fisica o giuridica detiene una
    posizione lunga nel debito sovrano di tale emittente cui si riferisce il credit default swap su emittenti
    sovrani; o
  2. dal rischio di deprezzamento del valore del debito sovrano, quando la persona fisica o giuridica
    detiene posizioni attive o è esposto a passività, ivi compresi, ma non in via esaustiva, i contratti
    finanziari, un portafoglio di attività o obbligazioni finanziarie il cui valore è correlato al valore del
    debito sovrano.”

La direttiva stabilisce poi che è consentito effettuare operazioni con CDS sugli Stati sovrani “solo se esse non determinano una posizione scoperta in un credit default swap su emittenti sovrani”. Di fatto quindi i CDS non sono più negoziabili,  ma se un emittente riconosce delle inefficienze o un’accentuata illiquidità sul mercato dei CDS e del debito relativo, la normativa stabilisce una deroga a questa restrizione per un breve periodo di tempo, eventualmente prorogabile e giustificato concretamente.