Doccia fredda sul finire della settimana in borsa con l’annuncio del presidente americano Donald Trump che imporrà un dazio del 50% sulle importazioni dall’Unione Europea e a partire dal prossimo 1 giugno. Frustrato dai mancati progressi delle trattative, il tycoon gioca ancora una volta di attacco. Brutto colpo per i 27 capi di stato e di governo comunitari, che speravano di avere molte più settimane per negoziare con gli USA un accordo commerciale. Con Trump gran parte di loro s’incontreranno a Bruxelles a fine giugno per un vertice NATO nel quale concorderanno l’aumento della spesa per la difesa. Non più al 2% del Pil, come da target (non raggiunto) fissato nel 2014.
Si parla esplicitamente del 5%.
Rendimenti in rialzo con disordine fiscale
Numeri che sembrano sparati a caso, senza alcuna attinenza non soltanto con il necessario riarmo, ma anche con la condizione macroeconomica dell’UE. Il finanziamento della spesa per la difesa avverrebbe perlopiù, per non dire per intero, in deficit. E’ questa una delle ragioni per le quali i rendimenti europei stanno aumentando, specie sul tratto lungo della curva dei tassi. Il mercato sconta un aumento del debito da una parte e maggiori aspettative d’inflazione dall’altra.
L’aumento della spesa per la difesa è una delle concessioni che l’UE baratterebbe con Trump per strappargli un accordo commerciale quanto più benefico possibile. Ammesso che bastasse ad accontentare la Casa Bianca, il problema è che esso scaricherebbe sui conti pubblici nazionali il costo per mantenere l’accesso delle imprese al mercato americano. Salveremmo un po’ di Pil, ma aumentando il disavanzo fiscale.
Questo non sarà possibile. A Bruxelles forse non hanno idea in quale contesto internazionale stiamo vivendo. Dagli USA al Giappone, c’è tensione sui mercati per il disordine fiscale. I debiti crescono in po’ ovunque e non sembra più esservi consapevolezza di ciò.
Riarmo necessario, impossibile in deficit
Il riarmo all’Europa serve. E’ innegabile, a meno di essere pacifisti a prescindere con i prosciutti sugli occhi. Che poi i governi lo stiano propinando per cercare di rianimare le rispettive economie, è un altro discorso. Il punto è che non potrà essere perseguito in deficit. Mettiamocelo in testa una volta per tutte. Non solo l’Italia, che non dispone alcun margine di manovra sui conti pubblici. Quasi nessun altro stato se lo potrà permettere. La stessa Germania, che ha stanziato a questa voce di bilancio 500 miliardi di euro in più in 10 anni, dovrà prima o poi ricredersi e tornare più austera.
Se a fine giugno l’impegno sull’aumento della spesa per la difesa al 5% del Pil sarà ufficializzato, sui mercati si scatenerà il caos. Dove prenderanno i governi tutti questi soldi? Per l’UE si tratterebbe di un maggiore impegno annuale nell’ordine dei 540 miliardi all’anno. Non tutti subito, ovvio. Resta il fatto che la tendenza sarebbe di un accrescimento dei disavanzi nazionali, ossia delle emissioni nette di bond. E questo significa una sola cosa: rendimenti più alti. La Banca Centrale Europea (BCE) non potrà più intervenire come in passato con acquisti massicci, perché l’inflazione è ora rispuntata e non segnala di volersene andare.
Spesa per difesa in balia dell’instabilità politica
Si può immaginare che la stessa BCE sarà indotta a tollerare un maggiore livello d’inflazione per l’Eurozona. A parte che contravverrebbe il suo stesso statuto, il guaio è che sarebbero i cittadini a non sostenere una simile svolta. Scelte simili si pagano alle urne e già da anni l’instabilità politica si è impadronita persino del cuore del Vecchio Continente, con la stessa Germania a navigare a vista. E bisogna prendere atto che una porzione non troppo minoritaria dell’opinione pubblica si mostra contraria ad aumentare la spesa per la difesa. Difficilmente s’immolerebbe per finanziarla perdendo ulteriore potere di acquisto, né accetterebbe tagli alla spesa e/o aumenti delle entrate allo scopo. Sarà un’estate rovente e parafrasando un ex commissario tedesco, “i mercati insegneranno ai capi di stato come governare”.