E se anche alla Germania convenisse il fondo sovrano europeo ipotizzato in seno alla Commissione UE per reagire ai sussidi degli Stati Uniti? Finora la posizione ufficiale di Berlino è stata di chiusura, sebbene proprio il cancelliere Olaf Scholz ne avrebbe lanciato in privato l’ipotesi. A Bruxelles serve reagire all’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden, un piano di svariate centinaia di miliardi di dollari di aiuti a famiglie e imprese per favorire la transizione energetica. Una legislazione, quella americana, che punta a favorire il rimpatrio delle catene del valore per potenziare la produzione domestica.

La Commissione sta già valutando di allentare la disciplina sugli aiuti di stato per consentire ai governi di replicare agli States con sussidi nazionali. Tuttavia, così facendo rischia di implodere il mercato unico, che si fonda sull’assenza di sovvenzioni pubbliche per porre tutti i produttori in una posizione di parità di trattamento.

A Bruxelles si sono accorti, poi, che allentare le maglie degli aiuti di stato scatenerebbe una “guerra” commerciale all’interno dell’Unione Europea. Gli stati con margini fiscali favorirebbero le proprie imprese a discapito degli stati senza tali margini. Non a caso è l’Italia la capofila dei paesi contrari. A meno di non considerare la contestuale nascita di un fondo europeo. Esso si finanzierebbe emettendo debito comune e lo userebbe per erogare aiuti alle imprese dell’area senza distinzioni tra stato e stato.

Vendite allo scoperto di Bund fanno paura

La soluzione non piace al Nord Europa, secondo cui di emissioni comuni ve ne sarebbero fin troppe. La Germania vorrebbe approfittare del nuovo corso per eliminare definitivamente la concorrenza interna all’Europa. Grazie a un bilancio solido, disporrebbe di qualche centinaio di miliardi di euro ancora da utilizzare per preservare la propria industria ai danni delle altre rivali. Tuttavia, non tutto sta procedendo liscio come desidererebbe.

Secondo S&P Global Markets Intelligence, le vendite allo scoperto di Bund sono salite a 111,1 miliardi di euro, ai massimi dal 2015.

Per vendite allo scoperto intendiamo l’attività di vendere titoli che non si posseggono, facendoseli prestare da un broker e restituendoli a quest’ultimo entro una scadenza futura. La speranza per il venditore è che i prezzi scendano, così da restituire i titoli a costi inferiori ai ricavi maturati con la vendita iniziale. Per questa ragione le vendite allo scoperto sono considerate la spia di una tendenza ribassista del mercato. Durante la fase clou della pandemia tra 2020 e 2021, le posizioni corte contro i Bund ammontarono sui 55 miliardi, pressappoco la metà delle attuali.

Dunque, il mercato scommette contro i titoli di stato tedeschi, fiutandone il calo dei prezzi e l’ulteriore aumento dei rendimenti. Ieri, il Bund a 10 anni offriva più del 2,30%, comunque meno dell’apice di oltre il 2,50% toccato a fine dicembre. Le previsioni negative sono dovute al rialzo dei tassi d’interesse della Banca Centrale Europea per combattere l’alta inflazione nell’Eurozona. Gli investitori temono che il costo del denaro salga fino a oltre il 3,50%. I Bund sono tipicamente i titoli dai prezzi più alti e, quindi, scommettervi contro è naturale in una fase come questa.

Fondo europeo come estrema ratio

E c’è da dire che quest’anno la Germania emetterà 540 miliardi di euro di Bund per finanziare il riarmo da un lato e il contrasto al caro bollette dall’altro. Nel 2022, aveva emesso 450 miliardi di debito. Nel caso di aiuti di stato consentiti a sostegno delle imprese, le emissioni salirebbero ulteriormente. Il fatto è che la Germania stessa inizia a dubitare di potersi permettere una simile strategia. L’allarme scattato a Londra nell’ottobre scorso è stato chiaro: il mercato non perdona nessuno. La credibilità tedesca sui conti pubblici finora è fuori discussione, ma ulteriori piani in deficit potrebbero non essere considerati sostenibili in una fase di rialzo dei rendimenti.

Sarà per questo che nelle ultime settimane Berlino frena sul sostegno all’Ucraina contro la Russia?

E qui entra in gioco il fondo europeo. Se la Germania dirà di sì, non sarà per benevolenza verso i partner. Acconsentirà solamente in base ad un calcolo spicciolo sulla convenienza per i tedeschi. E più i rendimenti dei Bund saliranno, maggiori le probabilità di strappare uno “ja” a Berlino. Il governo federale dovrebbe abbandonare il “sogno” di fregare i partner europei per evitare rischi fiscali. D’altro canto, avrebbe modo di reagire appropriatamente al rischio di deindustrializzazione a favore degli Stati Uniti. I tedeschi sono bravi nel fare analisi costi-benefici, ma anche lenti nel decifrare le tendenze. Il fondo europeo, se mai nascerà, non sarà domani. Servirà prima che i rendimenti dei Bund mordano a sufficienza per far sentire dolore alle salutari casse statali teutoniche.

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