Perdono più dell’1% nella mattinata di oggi le azioni MPS dopo i botta e risposta all’interno del governo sulla possibile vendita in tempi stretti dell’istituto senese. Il prezzo del titolo scende a 2,51 euro, pur restando di oltre il 22% sopra i livelli di apertura di quest’anno. A Cernobbio, dove ogni anno si riunisce il gotha dell’industria italiana, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato che “prima si fa e meglio è” con riferimento alla ri-privatizzazione della banca.

Sulla stessa posizione il collega al Made in Italy, Adolfo Urso, mentre la Lega si è mostrata contraria. Stavolta, persino il moderato Giancarlo Giorgetti, a capo del Tesoro, ha invitato alla prudenza, sostenendo che lo stato non si dovrà fare dettare i tempi.

Lo stato intervenne nel 2017 per salvare MPS con l’ingresso nel capitale per circa il 68%. Spese allo scopo 3,85 miliardi di euro, a cui si aggiunsero altri 1,5 miliardi per lo swap in azioni delle obbligazioni subordinate in mano alle famiglie. In tutto, un investimento di 5,4 miliardi. Da allora la banca è stata grosso modo risanata. Sul finire dello scorso anno, un’ennesima ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, di cui 1,6 a carico dello stato in qualità di azionista. Il costo per i contribuente sale così a complessivi 7 miliardi.

Lega vuole tenersi stato-banchiere

Nella primavera di quest’anno il governo Meloni ha proceduto al cambio delle nomine, mettendovi alla presidenza Nicola Maione, già nel CDA dal 2017. L’uomo è considerato vicino alla Lega, che adesso non vuole rischiare di perdere un “suo” rappresentante nel sistema bancario nazionale. In caso di cessione sul mercato, infatti, la nuova compagine azionaria si voterebbe vertici a sé graditi e non necessariamente sarebbero gli uscenti. In generale, la Lega vuole evitare la vendita di MPS per continuare a sostenere il ruolo dello stato-banchiere. Un dibattito antico, non solo italiano.

Al di là delle posizioni divergenti in seno al governo, la vendita di MPS sarà tutt’altro che semplice.

Dopo essere entrata in data room, Unicredit nell’autunno del 2021 si ritirò dalla trattativa esclusiva con il Tesoro per comprare l’istituto. Il suo CEO, Andrea Orcel, pretendeva una dota di 8 miliardi per accollarselo. Sono rimasti teoricamente spendibili altri due gruppi bancari domestici: Banco BPM e Bper. Il fatto è che entrambi hanno escluso categoricamente, e a più riprese, di essere interessati al dossier.

Privatizzazione con annessa maxi-perdita

Una vendita di MPS sul mercato per il 64,23% del capitale non sarebbe né possibile e né opportuna. Il Tesoro potrebbe semmai iniziare a cedere quote minime per alleggerire il peso prima di individuare un offerente chiaro. Tuttavia, meglio sarebbe conservare l’intera quota per quel momento, altrimenti l’operazione rischia di perdere di appeal. Con l’Unione Europea il governo italiano ha concordato la ri-privatizzazione entro il 2024. In teoria, ci sarebbe un anno abbondante per trovare finalmente un pretendente. Il suo identikit resta un mistero e di far entrare la finanza francese a Siena non se ne parla, a maggior ragione che al governo c’è il centro-destra, i cui rapporti con Parigi non sono idilliaci.

C’è, infine, un problema di contabilità pubblica. Attualmente, le azioni MPS capitalizzano intorno a 3,20 miliardi. La quota in capo al Tesoro varrebbe sui 2 miliardi. Risulterebbe superiore all’esborso legato all’ultimo aumento di quasi un anno fa, ma complessivamente molto inferiore ai 7 miliardi spesi dal 2017. La vendita di MPS consentirebbe da un lato allo stato di incassare liquidità preziosa per una fase complicata come questa, dall’altro lo costringerebbe ad iscrivere a bilancio una perdita di circa 5 miliardi. Non è quello che serve a un paese con un debito pubblico altissimo come il nostro.

Su vendita MPS pesano rischi legali

La banca senese ha maturato un profitto netto di 619 milioni nel primo semestre, a fronte di ricavi per 1,85 miliardi.

In forte calo le spese per il personale a 574 milioni, beneficiando degli esodi incentivati dell’anno passato. Il rapporto tra costi e ricavi è sceso al 49% dal 69% di un anno prima. I crediti deteriorati ammontano a 3,2 miliardi, al 2,1% al netto delle coperture. La vendita di MPS consegnerebbe al potenziale acquirente una banca risanata con i sacrifici dei contribuenti. Ma anche a causa dei rischi legali che pesano sui bilanci futuri, ad oggi nessuno sembra disposto ad imbarcarsi in quella che rischierebbe di trasformarsi in una tragica avventura finanziaria. Sarà questo il vero problema di Giorgetti, più che le bizze del suo partito.

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