Ursula von der Leyen si sottoporrà domani al voto dell’Europarlamento per essere nominata prossimo presidente della Commissione UE. E alla vigilia, nessun esito sembra scontato. In teoria, dovrebbe essere un’elezione facile per il ministro della Difesa tedesco, visto che l’accordo tra PPE, socialisti e liberali disporrebbe di un massimo di 444 su 751 seggi (4 devono ancora essere assegnati), nettamente superiori ai 374 strettamente necessari per ottenere il via libera. Eppure, a mancare ad oggi è proprio l’intesa tra i principali gruppi.

I socialisti non sembrano affatto convinti della von der Leyen, anche per una questione di metodo. La cancelliera Angela Merkel e il presidente Emmanuel Macron si sono accordati in solitaria, pretendendo che gli altri ratifichino la loro scelta.

Ai socialisti non va giù, poi, che il loro candidato Frans Timmermans sia stato impallinato dal gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) e dall’Italia, nutrendo il sospetto che per questo la tedesca si ponga a capo della Commissione su posizioni di destra e inclini al “sovranismo”. Per fugare i loro dubbi, la von der Leyen ha già fatto diverse concessioni ai papabili alleati di sinistra: salario minimo legale in tutti gli stati comunitari, abbattimento delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e impatto neutrale della UE sulle emissioni dal 2050, maggiore flessibilità fiscale per una politica più “amica della crescita” e promessa di condivisione del potere legislativo con l’Europarlamento.

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Gli scenari possibili di domani

Sembrano concessioni piuttosto pesanti, specie se consideriamo che arrivino da un esponente tedesco dell’austerità. Ma a capeggiare la rivolta contro la sua nomina sono proprio gli alleati socialdemocratici al governo federale di Berlino, indisposti contro la cancelliera per non averli nemmeno consultati sul nome. Qualcuno a sinistra ipotizza uno scenario “da incubo” per il caso in cui domani la von der Leyen riuscisse a diventare presidente della Commissione, ma con i voti determinanti della destra euro-scettica; per capirci, di Matteo Salvini e Marine Le Pen.

A questo punto, tre appaiono gli scenari possibili, ossia che il ministro tedesco:

  1. ottenga la maggioranza assoluta dei voti e venga ufficializzato come successore di Jean-Claude Juncker dal prossimo autunno. Per l’asse franco-tedesco, una vittoria indubbia;
  2. manchi la maggioranza. Per la cancelliera Merkel sarebbe uno smacco, il segno del suo declino politico non solo in Germania. Più fortunato Macron, che ha già portato a casa la nomina di Christine Lagarde alla BCE, l’altra carica prestigiosa da rinnovare nella UE;
  3. ottenga la maggioranza, ma grazie ai voti determinanti della destra euro-scettica. La vittoria di Frau Merkel sarebbe solo apparente, perché nei fatti il pendolo della politica a Bruxelles si sposterebbe verso gruppi come la Lega, i quali pretenderanno di capitalizzare dal via libera, ottenendo posti-chiave nella Commissione.

Nel caso in cui si verificasse quest’ultimo scenario, però, difficile che la prima donna alla presidenza di Bruxelles riesca a tenere insieme una maggioranza che contenga sia gli euro-scettici che i liberali della ex Alde. Per questo, probabile che alla fine i socialisti abbassino la cresta, magari con numerose defezioni al loro interno e tali da non minacciare l’elezione, intravedendo il rischio per loro di essere rimpiazzati dalla destra. Ad ogni modo, il solo fatto che il braccio destro della cancelliera si sia espressa per una “interpretazione flessibile delle regole fiscali” appare come una piccola rivoluzione, almeno a parole. A Francoforte è stata inviata una “colomba” per sostituire Mario Draghi. E chissà che a Bruxelles non ne vada un’altra, pur con la fama di “falco”!

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