Strano a pensare che i grandi governatori centrali, quelli che con le loro politiche monetarie incidono sul destino economico del pianeta, debbano prendere lezioni da un loro collega sconosciuto e a capo di uno degli istituti meno influenti che vi siano. Eppure, è così. Venerdì scorso, il governatore della Banca del Ghana, Ernest Addison, ha pronunciato un discorso, che in sé fino a qualche tempo fa sarebbe stato considerato scontato, quasi insignificante, ma che in questa fase appare rivoluzionario per le sue implicazioni.

Rivolgendosi al governo di Accra, ha chiarito senza fronzoli che l’istituto da lui guidato non abbia alcuna intenzione di continuare a prestare denaro per finanziare il deficit di bilancio, avvertendo che ciò metterebbe a rischio la stabilità del tasso di cambio.

Quest’anno, la Banca del Ghana ha erogati prestiti al governo per 10 miliardi di cedi, circa 1,4 miliardi di euro, con l’obiettivo di mitigare l’impatto della pandemia sull’economia domestica, fortemente dipendente dalle esportazioni di cacao. Il deficit fiscale è esploso all’11,4%, quando l’obiettivo iniziale era del 4,7%. A conti fatti, il supporto dell’istituto a tassi zero è stato pari a circa il 2,5% del PIL. Rispetto alle manovre straordinarie messe in campo da Federal Reserve e BCE, in particolare, siamo alle briciole.

Eppure, Addison ha dichiarato che “l’ampio deficit pone grosse questioni sul piano finanziario” e che “il suo finanziamento non potrà passare ricorrendo ai fondi della banca centrale, in quanto ciò indebolirebbe la sua capacità di fungere da ancora per la stabilità del cambio e monetaria”. “Andando avanti, dovranno essere prese misure difficili per riorganizzare le finanze pubbliche e le priorità di spesa, esplorando fonti di entrata più sostenibili”. In parole povere, il governatore ha invitato il governo a trovare le risorse per rilanciare l’economia dopo il Covid facendo ordine nel suo bilancio, cioè tagliando le spese e/o alzando le tasse, nel frattempo trovando canali di finanziamento più appropriati, quali l’indebitamento sui mercati (e a tassi di mercato).

Il prezzo del cacao resta stabile e gli agricoltori africani guardano ai trafficanti d’oro

Una lezione ai governatori strapotenti

Il debito pubblico alla fine del settembre scorso era salito al 71%, ai massimi dal 2000. Lo scorso anno, era ancora di poco inferiore al 63%. Malgrado i moniti del Fondo Monetario Internazionale, il Ghana ha beneficiato in questi mesi di una forte stabilità del cambio, con il cedi ad avere perso appena il 2,6% contro il dollaro. Ed è molto probabile che sia stata l’azione complessiva della banca centrale a contenere le perdite, dato che i tassi d’interesse sono stati tagliati solamente al 14,50%, a fronte di un’inflazione al 9,8% a novembre. In poche economie, pur tra le emergenti e di frontiera, possono esibire in questa fase tassi reali così elevati, praticamente di quasi il 5%.

Il Ghana ha da poco celebrato le elezioni presidenziali, dalle quali il capo di stato uscente Akufo-Addo ha ottenuto un secondo mandato di quattro anni con appena il 51,6% dei voti. La rielezione è stata fortemente contestata dall’oppositore John Mahama, che ha lamentato brogli. Addo ha promesso che intensificherà tutti gli sforzi per sostenere la ripresa economica, ma forse non si aspettava che già dal prossimo anno dovrà arrangiarsi senza alcun aiutino della banca centrale. Con i soli mezzi “tradizionali” dovrà riuscire a finanziare il deficit atteso in calo all’8,3% del PIL, quando ad oggi ha speso 3 miliardi di cedi (circa 420 milioni di euro) per sostenere le spese contro il Covid. Per l’anno prossimo, ha in programma emissioni di bond per 5 miliardi di dollari.

Il Ghana, con il suo PIL da 67 miliardi di dollari, inferiore a quello di una regione media italiana, non fa quasi mai notizia, essendo una piccola economia dell’Africa occidentale con standard di vita ancora molto bassi (2.200 dollari pro-capite all’anno).

Eppure, sarà per i minori margini di cui la sua banca centrale gode rispetto alle ben più “credibili” colleghe dell’Occidente, ma ha appena impartito al resto del mondo, oltre che al suo stesso governo, una lezione di puro realismo politico e finanziario. La monetizzazione dei debiti è una misura estrema, eccezionale e che può essere adottata solo per un breve periodo, dovendo essere ritirata prima ancora che inizi ad affievolire la credibilità di chi la attua. I bilanci pubblici non potranno mai sfuggire alle regole basilari dell’economia: le spese continueranno ad essere coperte anche nei prossimi decenni dalle entrate, cioè dalle tasse. L’idea tutta moderna di stampare per spendere è destinata a finire male e a svegliare quanti stiano sognando tra i governi e gli elettori un mondo senza più la necessità di scegliere tra priorità e confrontarsi con il problema delle risorse scarse, in cui ogni desiderio possa essere realizzato senza che nessuno paghi. La povera Africa ha insegnato qualcosa di logico e sensato al ricco Occidente.

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