Settimana scorsa in Iowa, ieri nel New Hampshire. Donald Trump non si ferma e conquista la seconda vittoria consecutiva alle elezioni primarie del Partito Repubblicano. A sfidarlo è rimasta solo Nikki Haley, l’ex governatrice del South Carolina, nominata proprio dal tycoon ambasciatrice alle Nazioni Unite quando era alla Casa Bianca. I dati indicano che ha ottenuto oltre il 54% dei consensi contro il 43% dell’unica sfidante in gara. E da quando il lungo percorso delle primarie è iniziato, all’insegna di The Donald, il dollaro ha messo a segno un rialzo di quasi l’1% contro le altre principali valute mondiali.

E’ così risalito ai massimi da sei settimane, ma contro il peso messicano si è rafforzato di oltre il 2%.

Dollaro su con Iowa e New Hampshire

Il legame tra Trump e dollaro esisterebbe secondo diversi analisti. Il mercato forex tende a scontare in anticipo i possibili cambiamenti in politica economica a seguito dell’eventuale ritorno alla Casa Bianca del magnate. Il programma del tycoon è noto ormai sin dal 2016: tagli alle tasse, aumenti di spesa per gli investimenti e dazi sulle merci cinesi, nonché accorciamento delle catene di produzione. Tutte queste misure hanno tendenzialmente un impatto sull’inflazione domestica, in quanto surriscalderebbero la domanda interna e aumenterebbero i costi delle importazioni. Non a caso, si torna a parlare di Trumpflation.

Politica fiscale espansiva

Al fine di contenere le pressioni sui prezzi al consumo, la Federal Reserve sarebbe costretta a seguire una politica monetaria più restrittiva. Dovrebbe nella sostanza tenere i tassi di interesse a livelli più elevati e/o ridurre gli acquisti di asset sui mercati per contenere la liquidità in circolazione. Tutto ciò rafforzerebbe il dollaro, anche perché in un simile scenario i rendimenti dei titoli di stato americani risulterebbero ben maggiori di quelli dei bond governativi esteri. I capitali si dirigerebbero negli Stati Uniti in cerca di “yield”.

E’ anche verosimile che non tutte le misure che ha in mente Trump sarebbero varate nel caso di una seconda vittoria alle presidenziali. Sui dazi c’è una parte del GOP che frena, nel nome della libertà dei commerci e anche per non urtare gli interessi della grande industria nazionale, nonché per difendere l’economia dalle possibili tensioni con la Cina. Resterebbe, comunque, l’impianto fiscale espansivo. Il punto è che lo abbiamo già con Biden, per cui grossi cambiamenti da questo punto di vista non ne avremmo, se non nel mix delle misure eventualmente varate.

Colpo al peso messicano

E perché il dollaro si è apprezzato particolarmente contro il peso messicano? Chi segue le vicende elettorali di Washington, sa che Trump è considerato il principale “nemico del Messico” su due questioni clou: gli ingressi clandestini e la politica commerciale. Per risolvere il primo problema, sostiene la costruzione di un muro alla frontiera tra i due paesi, tra l’altro in gran parte già completata. Ben di maggiore impatto è la rivisitazione del NAFTA, l’accordo di libero scambio sottoscritto nel 1994 tra Stati Uniti, Messico e Canada. Già durante il suo mandato, impose alle case automobilistiche di produrre una percentuale minima in patria per non incorrere in maxi-dazi al 35% nel caso in cui la costruzione fosse avvenuta perlopiù al sud del confine.

Super dollaro non scontato col ritorno di Trump

Questi ragionamenti, tuttavia, rischiano di lasciare il tempo che trovano. La forza del dollaro dipende da una serie di condizioni macro, molte delle quali indipendenti da chi si trovi alla Casa Bianca. Infatti, durante la presidenza Trump il tasso di cambio è risultato in media del 5% più debole di questi primi tre anni di presidenza Biden. Ciò si deve perlopiù alla fuga dei capitali verso i “safe havens” con la pandemia, oltre che alle tensioni geopolitiche scaturite tra Russia e Ucraina prima e nel Medio Oriente più di recente.

Poiché il dollaro tende a rafforzarsi anche in considerazione del suo status percepito di safe asset, paradossalmente se un’eventuale seconda presidenza Trump si mostrasse intenta a ricercare accordi di pace nelle arre prima citate, la valuta statunitense potrebbe indebolirsi. Nulla è dato per scontato. Molto dipenderebbe anche dalla composizione del Congresso. Trump alla Casa Bianca con i democratici a guidare almeno una delle due Camere sarebbe uno scenario di mitigazione delle politiche del primo e finirebbe per “sgonfiare” il dollaro.

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