Colpo di scena: TikTok negli USA per il momento non verrà messa al bando. Il governo americano ha assegnato a Microsoft 45 giorni per concludere un accordo con Byte Dance per l’acquisto della popolarissima app tra i giovani. Contrariamente a quanto dichiarato dal presidente Donald Trump venerdì scorso, la Casa Bianca non si opporrà alla vendita, purché avvenga entro poche settimane. Il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, a tale proposito non ha voluto indorare la pillola, sostenendo poche ore fa che TikTok “o viene acquistata (da investitori americani, ndr) o verrà messa al bando” negli USA.

La ‘guerra’ USA-Cina passa per Huawei, TitTok e Premier League

L’app consente agli utenti di postare video di pochi secondi e a marzo ha sfiorato i 2 miliardi di download, quando a gennaio stava ancora a poco più di 100 milioni. Il “lockdown” ne ha sostenuto la diffusione, con centinaia di milioni di persone nel mondo rinchiuse a casa, in cerca di una qualche forma di svago. Gli utenti attivi sarebbero oltre 800 milioni nel mondo, di cui 400 in Cina e 100 negli USA. A giugno, l’India l’ha messa al bando per le tensioni con la Cina sui confini. Washington minaccia da mesi di farle fare la stessa fine per le presunte violazioni alla privacy e alla sicurezza degli utenti e nazionale, in quanto i dati attinti dall’utilizzo verrebbero trafugati da Pechino.

Il caso è solo la punta dell’iceberg delle tensioni USA-Cina sul commercio, ma anche di natura diplomatica con il Covid-19. Bill Gates ha un’opportunità unica di rilevare un social molto diffuso e fare così concorrenza a colossi come Facebook. Di suo, possiede già LinkedIn, il social per lo scambio di informazioni e ricerca di lavoro. In una nota, Microsoft ha reso noto che tratterà con TikTok fino al 15 settembre e che si raccorderà costantemente con il governo americano, di cui condivide le preoccupazioni per la tutela dei dati.

Quanto costerebbe TikTok?

Pare che sulla decisione di Trump di concedere un mese e mezzo a Microsoft per trattare con i cinesi abbiano pesato le pressioni di svariati esponenti del Partito Repubblicano, preoccupati dall’eventuale embargo per le conseguenze elettorali tendenzialmente negative che avrebbe per il GOP tra i giovani. E il via libera è arrivato dopo che il presidente ha parlato con il ceo Satya Nadella.

Adesso, la discussione tra Microsoft e i cinesi ruoterà essenzialmente attorno al prezzo di acquisizione dell’asset. A inizio anno, quando uno dei soci di minoranza, Cheetah Mobile, ha venduto una quota a terzi tramite accordo privato, la valutazione complessiva dell’app fu di 140 miliardi di dollari. Ma in queste ultime settimane, essa risulta enormemente scesa proprio per la minaccia del ban e si attesterebbe tra i 50 e i 70-80 miliardi al massimo. Resta da vedere, poi, se Microsoft abbia intenzione di rilevare l’intera quota ad oggi in mano a Byte Dance o se voglia lasciarne una fetta ad altri investitori americani. Ricordiamo che il 70% del capitale non detenuto dal gruppo cinese si trova in mani americane.

I precedenti

Altro nodo da sciogliere sarebbe la possibile suddivisione tra servizio e infrastruttura, così da eliminare del tutto i rischi di violazione dei dati. Del resto, già Byte Dance possiede un’altra app per video brevi, chiamata Douyin, che si basa sullo stesso codice utilizzato per realizzare TikTok. I negoziati verrebbero sorvegliati dal CFIUS (Committee on Foreign Investment in the United States), un organismo pubblico che accende i fari sugli investimenti stranieri negli USA, al fine di tutelare la sicurezza nazionale.

Non è la prima volta che la Cina va a sbattere contro le autorità americane per aziende operanti su internet.

Nei mesi scorsi, ad esempio, il colosso dei giochi online cinese Kunlun Tech Co Ltd dovette vendere Grindr, l’app di incontri gay, per 620 milioni di dollari. E due anni fa fu fatto divieto a Ant Financial di rilevare MoneyGram International sui timori espressi dal CFIUS che Pechino avrebbe potuto violare le informazioni relative ai pagamenti effettuati dai cittadini americani. Tante operazioni bloccate per l’assenza di un ingrediente fondamentale nelle relazioni tra stati, così come persone: la fiducia.

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