Se l’obiettivo di Enrico Letta fosse stato di far parlare di sé, senza dubbio ci è riuscito. Il segretario del PD ha scatenato polemiche con la sua proposta di aumentare la tassa di successione sui patrimoni milionari, aiutando con il relativo gettito i 18-enni. Questi potrebbero usare gli aiuti ricevuti di 10.000 euro a testa per motivi di studio, lavoro e per le spese relative alla casa.

Finalmente, il PD ha detto una cosa di sinistra. Sarà contento Nanni Moretti, che nel lontanissimo 1998 già supplicava in tal senso l’allora capo dei DS, Massimo D’Alema, di lì a breve premier.

Ma la proposta sulla tassa di successione risulta persino dai connotati agghiaccianti per com’è stata ideata.

A sinistra, ha riscosso un buon successo. Non sono in pochi a far notare come il gettito fiscale su eredità e donazioni in Italia sia nettamente inferiore alla media OCSE: appena lo 0,1% del totale (circa 800 milioni di euro) contro lo 0,5%. Aliquote troppo basse e soglie di esenzione troppo alte, stando ai favorevoli alla stangata. Letta vorrebbe innalzare le prime fino al 20%. In sostanza, i figli che ereditassero da un genitore qualche decina di milioni di euro, dovrebbero condividerli con lo stato per una quota rilevante.

Tassa di successione propaganda ideologica

Molti di noi semplicemente si sentono estranei a tale timore. In fondo, quante sono le famiglie plurimilionarie che conosciamo? Già, ma questo non è un buon parametro per fare politica economica. E se è vero che la tassa di successione sia relativamente bassa in Italia, è indubbio anche che tutte le altre tasse siano altissime. E questo non è solo un problema di sostenibilità, quanto di giustizia. Le successioni sono il frutto di anni, spesso decenni di sacrifici. Sono essenzialmente risparmi investiti in beni immobili, mobili e asset finanziari.

Il risparmio è per definizione la differenza tra reddito e consumi.

Il primo sconta una tassazione sotto forma di IRPEF, i secondi tramite l’IVA. Non solo. Gli stessi risparmi sono tassati ormai da molti anni. Se compri casa, ci paghi l’IMU; se investi in borsa ci versi l’imposta sui proventi finanziari; se tieni liquidità in banca paghi l’imposta di bollo; se compri un’auto o un’imbarcazione, ci paghi anche in questo caso l’imposta di bollo, e così via. Dire che anche i “ricchi” debbano contribuire al gettito fiscale è demagogico: lo fanno già. Senza i redditi alti, non sarebbe possibile erogare servizi come scuola e sanità. Dunque, i più abbienti fanno già la loro parte.

Sì, ma evadono spesso le tasse! Vero, come un po’ tutti i contribuenti. E non è certo aumentandole ulteriormente che risolveremo il problema. Anzi, una tassa di successione più alta porterebbe probabilmente a una fuga dei capitali all’estero, dove i grossi patrimoni sarebbero nascosti per sfuggire alla stangata. Si colpirebbero i più ingenui, i furbi la farebbero grosso modo franca. E poi per farne cosa dell’extra-gettito? Letta sostiene che dovrebbe essere usato per elargire una “dote ai diciottenni”. Un bonus da 10.000 euro da spendere per studio, lavoro o casa.

Giovani insultati e adesso riscoperti

Ci sarebbe tanto da commentare sulla proposta. Anzitutto, dov’erano lo stesso Letta e il suo PD nell’ultimo decennio, quando hanno governato l’Italia quasi ininterrottamente? Pensavano ai giovani quando tagliavano allegramente la spesa sanitaria e quella per la scuola e l’università? Dove sono state le loro politiche abitative? Del PD al governo ricordiamo verso i giovani espressioni come “bamboccioni”, “choosy” e “sarebbe meglio che si levassero di torno”. Quest’ultima chicca fu pronunciata dall’allora ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a commento della fuga dei cervelli all’estero.

C’è sempre tempo per rimediare alle proprie mancanze, ma sarebbe il caso di farlo seriamente.

La dote ai 18-enni è una proposta demagogica, che non risolverebbe alcun problema in capo ai giovani. Essi hanno bisogno di un’istruzione migliore, di maggiori opportunità di lavoro, meglio se qualificato, di una politica abitativa meno ideologizzata e più efficace per risolvere la carenza di offerta nelle grandi città, nonché di prospettive più stabili. La dote sarebbe l’ennesima misura clientelare ed elettoralistica, che finirebbe per scialacquare ulteriori capitoli di spesa e per divorare nuove entrate.

Il fatto che la tassa di successione sia una boutade non rende improbabile una sua attuazione futura. L’Italia ha già preso una china molto pericolosa in questi ultimi anni, accentuata dal Covid. Alla risoluzione dei problemi si risponde ormai con la politica dei mille bonus. Lo stato indirizza i consumi, sceglie le categorie che debbano beneficiarne e ha quasi del tutto reciso il legame tra diritti e lavoro. L’assistenza ha preso il sopravvento sulla logica delle opportunità, la redistribuzione su quella del merito.

Già pronta la caccia alle streghe

Un film che abbiamo iniziato a vedere con il governo Monti, quando alcune categorie furono prese di mira per giustificare le stangate fiscali per fare cassa. Baristi, gioiellieri, semplici possessori di auto sportive furono esposti per mesi al pubblico ludibrio da politici e stampa compiacente. Serviva creare un clima di odio verso presunti evasori, tale da mettere a tacere le possibili resistenze. Quell’esperimento funzionò, anche se da allora l’economia italiana non ha fatto che arretrare.

E anche dopo il Covid rischiamo di ripetere quello scenario horror. I grossi patrimoni siedono già sul banco degli imputati. Gli italiani, che a stragrande maggioranza posseggono patrimoni sotto il milione di euro, plaudiranno all’iniziativa per semplice cialtroneria e nella speranza furba di sfuggire al pagamento dei debiti esplosi durante la pandemia. Letta ha liberato gli istinti peggiori di una minoranza dei cittadini-elettori, la quale pensa di poter pretendere di vivere eternamente a carico degli altri italiani senza nulla dovere in cambio.

Il messaggio ai giovani, altamente diseducativo, è chiaro: i soldi non si guadagnano, si sottraggono a chi li ha guadagnati con il sudore della fronte.

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