Il governo è al lavoro in questi giorni per trovare un accordo con le categorie interessate sul Superbonus. Serve lo sblocco dei crediti incagliati e stimati in 19 miliardi di euro, un punto di PIL. Non ci sono soluzioni semplici, perché bisognerà barcamenarsi tra esigenza di tutela dei conti pubblici da un lato e di famiglie e imprese dall’altro. Le polemiche abbondano, spia di un forte interesse riscosso in questi anni dal maxi-incentivo a favore delle ristrutturazioni edilizie. La vicenda ci consente di trarre alcune conclusioni di carattere generale.

1) Se il Superbonus ha attirato così tante attenzioni da parte dell’opinione pubblica, è certamente perché ristrutturare casa gratis piacerebbe a tutti e in qualsiasi stato al mondo. In Italia, però, l’appeal aumenta per via dei bassi redditi delle famiglie. Crescono poco da decenni e, stando alle classifiche internazionali, tra il 1990 e il 2020 hanno registrato in media un -3% in termini reali. Unico caso nel mondo ricco ad avere segnato un calo. Questo significa che la capacità di acquisto negli ultimi trenta anni, anziché aumentare, è diminuita. Le famiglie non ce la fanno più a mantenere gli stessi standard di vita e si rivolgono allo stato affinché le aiuti;

2) Gli incentivi sono sempre distorsivi. Con il Superbonus abbiamo assistito all’esplosione dei prezzi dei materiali e, a cascata, dei lavori. E’ stato l’esempio più lampante di cosa accade sempre quando lo stato sussidia il consumo di un bene o servizio. La domanda sale artificiosamente e spesso senza che l’offerta tenga il passo. Le forze del mercato vengono alterate e i prezzi ne risentono. A farne le spese sono i consumatori non sussidiati.

Sarebbe ingiusto, però, che queste riflessioni si limitassero ai bonus edilizi. Cosa dire dei famosi incentivi auto? Esistono da decenni senza che la politica o l’opinione pubblica si scandalizzino.

Eppure tengono alti i prezzi delle quattro ruote per ragioni fintamente ambientali, ma il cui unico obiettivo consiste nel preservare un comparto produttivo incapace di reggersi altrimenti in piedi. Perché non usare i soldi dei contribuenti per favorire le riconversioni industriali, anziché forzare il mercato a comprare ciò che non intende domandare in assenza di contributi statali?;

Non solo Superbonus: detrazioni regressive

3) Gli incentivi fiscali finiscono il più delle volte per favorire i redditi medio-alti, in quanto capienti. Chi non ha reddito o ne dichiara uno basso, non può scaricare nulla dalle imposte. Questo significa che i denari pubblici alimentano i consumi di chi ha redditi maggiori, per cui molti bonus hanno una natura regressiva nascosta. E’ pur vero che questo effetto indesiderabile era stato formalmente superato con lo sconto in fattura e la cessione del credito, ma qui arriviamo al prossimo punto;

4) Gli incentivi fiscali sono costosi per lo stato. Il solo Superbonus sarebbe costato sopra i 100 miliardi di euro. Ma ogni anno decine di miliardi se ne vanno per l’erosione della base imponibile dovuta alle numerosissime detrazioni d’imposta previste dal legislatore. Soldi che servono non solo per sussidiare alcuni consumi giudicati “meritevoli” di tutela, bensì per mantenere clientele elettorali tra le diverse categorie produttive. Un ammanco che rende farraginoso il sistema fiscale e necessarie le alte aliquote.

Con il paradosso che da un lato lo stato deve prelevare dai redditi dei contribuenti una percentuale elevata sotto forma di imposte, dall’altro la restituisce a coloro che si comportano da consumatori secondo i suoi desiderata. Le ingenti risorse necessarie per alimentare la politica dei bonus impedisce una qualsivoglia riforma fiscale capace di potenziare consumi, lavoro e investimenti. L’unica capace nel tempo di allentare la dipendenza dei cittadini dallo stato, garantendo ai primi maggiore benessere grazie alla crescita dei redditi.

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