La crisi dello spread ci ha ricordato che l’Italia detiene un debito pubblico di 2.300 miliardi di euro e al 132% del pil, rimasto il grande assente del dibattito politico negli ultimi tempi, campagna elettorale compresa, non fosse altro che per l’imbarazzo dei partiti dinnanzi a una realtà cruda che richiede soluzioni serie, di lungo respiro e non certamente popolari o demagogiche. Eppure non mancano le ricette “originali” propinate dai giornali come rimedi quasi taumaturgici per curare un malato apparentemente inguaribile.

L’ultima è stata proposta dalla giornalista Milena Gabanelli sul Corriere della Sera, prendendo atto che pur condividendo la stessa moneta, i 19 stati dell’Eurozona emettano i rispettivi debiti sovrani a 19 rendimenti diversi, con l’Italia a pagare gli investitori molto più di quanto non facciano Germania e Francia, che stanno rifinanziandosi a tassi praticamente azzerati.

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Giustamente, la Gabanelli nota come questa disparità perpetui le differenze tra stato e stato. Se l’Italia è più indebitata della Germania e paga per questo interessi più elevati al mercato, i suoi conti pubblici continueranno a mostrarsi meno solidi di quelli tedeschi e il debito tenderà a restare più alto e a salire. Cosa propone la giornalista? La creazione di un fondo europeo, che si ponga come obiettivo di equiparare i rendimenti sovrani. Come? Garantendo i debiti di tutti i membri dell’area, attraverso il pagamento da parte degli stati di una polizza. Insomma, esso agirebbe come un assicuratore, di fatto azzerando il rischio per gli investitori, rendendo possibile loro scegliere tra un titolo italiano o uno tedesco a parità di rendimento. Se qualcosa andasse storto in Italia o altrove, infatti, ci penserebbe il fondo a coprire le perdite.

I governi, dunque, pagherebbero il fondo per ottenere un servizio di copertura assicurativa dei propri debiti.

I soldi incassati potrebbero, poi, finanziare investimenti ad alto impatto sulla crescita nelle economie che ne hanno bisogno, come le infrastrutture. Dunque, secondo la Gabanelli, questo schema consentirebbe agli stati dell’Eurozona di emettere debito a rendimenti tutti uguali e al contempo di usufruire di eventuali reinvestimenti del fondo in opere pubbliche o per altri capitoli di spesa positivi per la crescita, spezzando l’incantesimo del debito.

Bello, vero? Peccato che si tratterebbe di una falsa soluzione. Per prima cosa, se l’Italia emette oggi un decennale al 3% e la Germania allo 0,50%, affinché tale spread possa annullarsi, dicevamo, bisognerebbe pagare al fondo europeo un premio. Ma se accadesse, ciò che esce dalla porta (il rendimento extra del 2,5%) rientrerebbe dalla finestra in forma di premio assicurativo. Qualcuno potrebbe eccepire che il premio versato dall’Italia al fondo non sarebbe esattamente pari all’attuale differenza tra i nostri rendimenti medi all’emissione e quelli “benchmark” tedeschi. Se fosse inferiore, però, significa che il fondo starebbe assicurandoci a costi inferiori rispetto al rischio percepito dal mercato. Ciò equivarrebbe ad affermare che esso sarebbe un ente benefico e non propriamente assicurativo, ovvero che si starebbe accollando rischi superiori a quelli per i quali verrebbe pagato.

Il fondo europeo sarebbe una non soluzione

Sarebbe come se, a fronte di un rischio di furto di un’auto dell’1%, la compagnia di assicurazione ci facesse pagare l’Rc Auto allo 0,5% del valore assicurato. Finirebbe in perdita sulla copertura dei furti, avendo incassato polizze più basse dei costi attesi. Si dirà che questo ragionamento non varrebbe per un ente pubblico e con riferimento a rischi sovrani effettivamente bassi e spesso sovrastimati dai mercati. Tuttavia, come lo spiegheremmo ai tedeschi che dovrebbero accollarsi quote di rischi superiori a quelli spettanti loro pro-quota, a causa del fatto che il fondo di cui sarebbero azionisti coprirebbe le emissioni sovrane in misura sproporzionata rispetto agli incassi?

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Secondo problema: se il fondo agisse da assicuratore, esso si accollerebbe formalmente rischi.

Sul piano formale, questi sarebbero oneri che finirebbero nei bilanci degli stati azionisti del fondo medesimo. Dunque, anche ammesso che riuscissimo ad emettere BTp a rendimenti uguali a quelli tedeschi e pagando una polizza contenuta (inferiore rispetto allo spread BTp-Bund), ci troveremmo ugualmente esposti a rischi sovranazionali per la quota posseduta nel fondo, per cui il debito pubblico rimarrebbe sostanzialmente intatto nelle sue dimensioni.

Infine, nessuna creazione di enti sovranazionali di mutualizzazione dei rischi sarà mai possibile tra stati diversi e i cui governi rispondono ai rispettivi elettori. La Germania, economia solida con conti pubblici in attivo dal 2014 e con un rapporto debito/pil nettamente inferiore alla media dell’Eurozona, non potrà mai accettare di coprire pro-quota i debiti di stati sovra-indebitati, finendo per esporre i propri contribuenti a rischi nemmeno prevedibili. Oltre tutto, in un sistema “solidaristico”, pur fondato su criteri di mercato come quello proposto dalla Gabanelli, il rischio di azzardo morale s’impennerebbe: se possiamo emettere BTp come fossero Bund, perché non indebitarci oltre misura? Ed ecco che, se mai un simile meccanismo decollasse, verrebbe corredato da tante e tali condizioni da rendere proprio noi restii a farne parte. In pratica, copertura assicurativa sì, ma a patto che l’assicurato agisca da “buon padre di famiglia”. E se a chi stipula una polizza contro il furto dell’auto si richiede almeno di chiudere a chiave il veicolo, a un governo verrebbe imposto di non creare altri debiti. Insomma, dai vincoli di bilancio non si scappa.

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