La “pax” monetaria alla BCE è durata fin troppo per gli standard dell’Eurozona. E, in effetti, pare che già si registrino scaramucce tra i vari componenti del board, anche se nessuno ha ancora voglia di passare all’artiglieria pesante. Gli sfoghi raccolti da Reuters Politico non lascerebbero dubbi: lo scontro tra “falchi” e “colombe” è tornato. L’oggetto del contendere resta lo stesso da anni, ossia il grado di accomodamento monetario dell’istituto. E’ stata la stessa Christine Lagarde a portare alla luce le divisioni interne, quando ha dichiarato che

“il dissenso e il dibattito sono salutari tra i membri del board esecutivo”.

Il fronte filo-germanico, guidato dalla Bundesbank, ritiene che la BCE debba rallentare gli acquisti, così da disporre di maggiori risorse da impiegare nel caso di una seconda ondata di contagi nell’Eurozona. Fabio Panetta di Banca d’Italia è finito, perciò, nel mirino dei colleghi del nord, quando ha spiegato che, a suo avviso, sarebbe meglio se l’istituto sbagliasse “facendo troppo, anziché troppo poco”. In un certo senso, ha fatto venire meno la formale ortodossia che guida Francoforte, facendo intendere che gli effetti negativi di una politica monetaria iper-accomodante sarebbero preferibili a quelli causati da una politica troppo restrittiva. Per capirci, meglio troppa inflazione che troppo poca.

La discussione è tutt’altro che teorica. I fautori degli acquisti ridotti per questa fase puntano ad evitare che il PEPP, il piano anti-pandemia da 1.350 miliardi di euro, risulti insufficiente nel caso in cui vi fosse bisogno nei prossimi mesi di potenziare gli acquisti per sostenere eventuali nuove misure fiscali espansive dei governi, evidentemente per il sopraggiungere di una nuova fase di emergenza sanitaria. Viceversa, le “colombe” puntano a dilatare tempi ed entità del programma, ove risultasse necessario.

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Le paure del Sud Europa

Lagarde non si sbilancia, ma davanti all’Europarlamento ha dichiarato che la durata del PEPP potrebbe estendersi anche oltre il giugno 2021, scadenza ad oggi fissata dal board.

Alla base della divergenza di vedute ci sono le diverse realtà economiche nell’area, come sempre del resto. Germania, Olanda, Austria e altri alleati del centro-nord non hanno granché bisogno del sostegno della BCE per emettere debito sul mercato e ritengono di poter tornare a perseguire politiche fiscali solide subito dopo il definitivo cessato allarme Covid.

Al contrario, paesi come Italia, Spagna e Francia hanno paura di non essere nelle condizioni di tagliare i deficit così velocemente. E quanto accadde dopo la crisi finanziaria del 2008-’09 darebbe loro ragione. Dunque, serve loro confidare nel sostegno dell’Eurotower per ancora molto tempo, almeno fino a quando le rispettive economie non si saranno del tutto riprese dallo shock. E poiché nel suo insieme l’Eurozona dovrebbe tornare ai livelli pre-Covid solo tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, allungare il brodo appare la strategia che il fronte del sud intende portare avanti per rifinanziarsi sui mercati finanziari senza preoccuparsi dei costi di emissione e di perdere la fiducia degli investitori.

Il punto è che il nord ritiene che il PEPP, una volta esaurite le risorse, non dovrà essere né esteso temporalmente e né potenziato. Il sud spera che inevitabilmente si arrivi a fare entrambe le cose, cioè che i governi beneficino ancora per anni degli acquisti della BCE. L’inflazione negativa di agosto nell’area, il rafforzamento del cambio euro-dollaro e le quotazioni del petrolio stagnanti a poco sopra i 40 dollari al barile fanno pendere al momento la bilancia dalla parte delle “colombe”. I “falchi”, però, restano in agguato.

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