Gli Stati Generali dell’Economia lacerano il governo Conte, con il PD a chiedere tre settimane di tempo per dar vita al progetto del premier di riunire i maggiori pensatori e le eccellenze dell’impresa e della cultura in Italia per partorire un piano di “rinascita” della nostra economia. L’idea di Palazzo Chigi sarebbe di richiedere almeno parte dei prestiti spettanti al nostro Paese con il “Recovery Fund”, utilizzandoli per sostenere investimenti pubblici, rilanciare le infrastrutture e sburocratizzare la Pubblica Amministrazione.

Ma se Giuseppe Conte vorrebbe che la discussione partisse a giorni, come detto il PD parla di settimane.

Gli errori del governo Conte nell’emergenza Coronavirus pesano sull’economia italiana

E’ evidente che la diversa tempistica celi divisioni sui contenuti. La verità è che il Movimento 5 Stelle vorrebbe offrire all’Italia l’immagine di un governo operoso, fattivo, concreto e occupato giorno e notte nel varare provvedimenti di contrasto alla crisi, mentre tra i democratici serpeggia la sensazione che l’esperienza del Conte-bis sia sostanzialmente conclusa e che serva adesso trovare l’occasione e i tempi giusti per archiviarla formalmente, consapevoli che l’autunno che ci aspetta sarà un potenziale detonatore per la bomba sociale che si sta fabbricando in questi mesi di caduta dell’economia.

La direzione che Roma sta prendendo per gestire la crisi porta a Pechino. Se già con la sottoscrizione dell’accordo sulla “Via della Seta”, l’allora governo “giallo-verde” aveva mostrato simpatia e vicinanza per il modello cinese, adesso che il mondo inizia a prendere le distanze dalla dittatura di Xi Jinping, rivelatasi per quello che è, ossia una brutale repressione delle libertà di pensiero, assenza di trasparenza al suo interno e con i partner commerciali, nonché un capitalismo etero-diretto dallo stato, l’autoproclamatosi “avvocato del popolo” sta virando decisamente verso di essa.

L’odio contro il mercato si diffonde

Siamo, anzitutto, al ritorno dello stato-imprenditore.

La nazionalizzazione di Alitalia è avvenuta con la scusa del Coronavirus, pur essendo in auge da tempo quale unica soluzione reale, mentre l’ex premier Romano Prodi, artefice delle privatizzazioni e dello smantellamento dell’IRI, in un’intervista di pochi giorni fa ha invocato l’ingresso dello stato nel capitale delle imprese, pur smentendo che trattasi di un recupero del modello passato. Nel frattempo, accusato di ogni responsabilità per la diffusione della pandemia in Italia è il “modello lombardo”, non solo sulla sanità. A Milano si rimprovera l’aver puntato sulle convenzioni con le cliniche private, quando non è affatto emersa ad oggi alcuna responsabilità che possa attribuirsi al tipo di sistema adottato dalla regione per gestire la salute degli oltre 10 milioni di cittadini residenti.

Mentre Conte adombra una patrimoniale sui risparmi, butta altri 3 miliardi con Alitalia

Se al nord del Po i numeri del Coronavirus sono stati decisamente più drammatici che altrove, la causa viene fatta ricondurre ai livelli di inquinamento, vale a dire al fatto che il nord sia il tessuto produttivo nazionale. Da merito, la produzione della ricchezza è diventata una terribile colpa da cui prendere le distanze per non essere tacciati di avvelenare i pozzi. E’ partita una indegna “caccia al lombardo”, scatenata dalle ostilità ostentate dal governo centrale nei confronti della prima regione italiana per pil, vuoi per contrapposizione politica con la giunta del leghista Attilio Fontana, vuoi anche per la diffidenza cronica che la sinistra italiana nutre verso il nord, come bene ha sottolineato Ferruccio De Bortoli in una intervista rilasciata all’Huffington Post.

I grillini, che già dopo un solo anno al governo avevano dimezzato i loro consensi alle elezioni europee del maggio 2019 e che, ad oggi, risultano attestarsi su percentuali inferiori a quelle prese in quell’occasione, stanno rispolverando tutto l’armamentario assistenzialistico e anti-capitalistico per recuperare i voti perduti da un lato e intravedendo dall’altro l’opportunità storica di dare attuazione alla loro visione anti-occidentale della vita, fondata sul rigetto del libero mercato quale modello di funzionamento per l’economia.

Ed ecco spuntare qua e là la redistribuzione della sempre minore ricchezza, tra reddito di cittadinanza e bollette di luce e gas non pagate caricate sul resto dell’utenza, così come attraverso una pioggia di bonus, che hanno il solo senso di individuare le categorie di consumatori e di imprese da premiare sulla base di criteri arbitrari.

Torna lo stato-imprenditore

L’Italia ha preso ormai una bruttissima piega difficile da contrastare. L’opinione pubblica viene foraggiata di continuo con l’additamento di un nemico pubblico da combattere e che di volta in volta muta viso, ma che coincide sempre con chi abbia anche solo a dubitare delle capacità salvifiche del governo. I processi sommari hanno sentenziato che i Benetton siano gli unici responsabili del crollo del Ponte Morandi a Genova, che gli indiani di AccelorMittal siano approfittatori e vadano cacciati dall’ex Ilva con tanto di ritorno alla gestione statale dell’acciaieria, che le banche o concedono i prestiti garantiti dallo stato o vanno redarguite pubblicamente, che le regioni debbano soggiacere ai desiderata del governo senza poterne applicare le norme adeguandole alle realtà dei loro territori e se mancano sul mercato mascherine e guanti, la responsabilità è di farmacisti e commercianti speculatori.

La cultura anti-impresa del governo Conte sta già portando a forti tensioni sociali

Siamo diretti verso soluzioni venezuelane, che fanno rabbrividire al solo pensiero. Gli Stati Generali dell’Economia sembrano concepiti per creare consorterie filo-governative che orchestrino l’economia italiana con modalità dirigiste, tornando all’era ingloriosa della concertazione. Come già accaduto in piena emergenza sanitaria, centinaia di “tecnici” del mestiere vengono individuati e assoldati di Palazzo Chigi per sostituirsi alla politica e decidere sulle vite di 60 milioni di cittadini, mascherando così valutazioni opinabili e arbitrarie con un’immagine di rigore scientifico e obiettività, tali da renderle inattaccabili da partiti e stampa.

Il premier sta sottraendosi al dibattito sul presente e futuro dell’Italia, puntando su una gestione assolutistica del potere, come se le soluzioni trovate fossero sempre le uniche possibili e suggerite da sedicenti comitati di esperti scevri da possibili critiche. Lo stato torna al centro dell’economia, un po’ come il Re Sole lo era della Francia fino al diciottesimo secolo. Le regioni verranno spogliate di quell’autonomia che sono riuscite a ritagliarsi in decenni di battaglie politiche, spesso trasversali, sull’onda della guidata indignazione popolare contro chissà quali responsabilità specifiche in capo ai governatori. E come se Roma fosse la sede delle virtù pubbliche! E sta attecchendo l’idea che lo stato torni a gestire in prima persona tutti gli assets “strategici”, dalle utilities alle infrastrutture, sebbene già prima di Conte stesse prendendo piede. Si pensi al caso Telecom. Siamo tornati agli anni Settanta, con la speranza che l’epilogo non sia analogo, per quanto le probabilità che le cose vadano meglio siano inesistenti.

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