Le azioni de Il Sole 24 Ore risultano aumentate in borsa di quasi il 100% in appena un paio di settimane, ovvero da quando il cda del gruppo editoriale ha posto l’ormai ex direttore Roberto Napoletano in aspettativa senza retribuzione per sei mesi, sostituendolo pro tempore con Guido Gentili. Se oggi il titolo cede oltre il 2%, i guadagni rispetto al 10 marzo scorso, data delle perquisizioni della Guardia di Finanza presso la sede milanese del quotidiano, si attestano al 97%. Ma il passato è passato e delle prospettive ha parlato oggi il presidente Giorgio Fossa alla Commissione Attività produttive della Camera.

Il manager non ha nascosto la riduzione in programma dell’organico, oggi pari a 1.200 dipendenti, di cui 200 giornalisti. Per quanto non sia sua intenzione “lasciare per strada” nessuno, i tagli ci saranno, magari limitati dallo smaltimento del numero dei collaboratori esterni, ma riguarderanno un po’ tutti, compreso il personale radiofonico. (Leggi anche: Crisi Il Sole 24 Ore segna la caduta di Confindustria e il flop di Boccia)

Il Sole 24 Ore diventa scalabile?

Spiega Fossa, che l’aumento di capitale necessario è atteso nell’ordine di 50-70 milioni di euro, quando oggi la capitalizzazione in borsa de Il Sole 24 Ore non arriva nemmeno a 27 milioni. Interpellato sulla possibilità che Confindustria scenda dall’attuale quota del 67,5%, l’uomo ha risposto che sarebbe nel novero delle possibilità, ma contrariamente al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che è parso semplicemente prendere in considerazione l’ipotesi (“è nel regno del possibile”), Fossa ha spiegato che sarebbe persino “nell’interesse della società” che ciò accadesse, anche perché, spiega, più si scende (di quota) e più il giornale diventa contendibile.

Lo stesso ha aggiunto che se l’obiettivo fosse di restare in possesso della stragrande maggioranza del capitale, tanto valeva nemmeno quotare il quotidiano a Piazza Affari. Un ragionamento semplice, lineare e senza peli sulla lingua quello di Fossa, che addebita l’origine dei guai alla convinzione di “qualcuno” che si dovesse imprimere una svolta generalista, chiarendo che questa non apparterrebbe alla storia del quotidiano, il cui futuro consisterebbe in un “ritorno al passato”, allo stile specialistico che lo ha contraddistinto per decenni, quando Il Sole 24 Ore era sulle scrivanie dei ragionieri.

(Leggi anche: Referendum costituzionale, le vere ragioni del “sì” di Confindustria)

Azioni legali contro i vecchi amministratori?

Con un’onesta rara nel panorama dirigenziale italiano, Fossa ha centrato esattamente i mali del gruppo editoriale che presiede, ovvero la sua perdita di identità e la proprietà. Vi ricordate un nostro articolo di qualche tempo fa, dove scrivevamo esattamente le stesse cose? Allora, addebitammo la crisi del quotidiano proprio a una linea editoriale sciatta del direttore Napoletano, peraltro rispondente alle esigenze “politiche” della proprietà, cioè di Confindustria, sempre più legata ai governi di turno e meno alla rappresentanza di interessi del settore produttivo privato.

Confermando la volontà di fare chiarezza a tutto campo, il presidente ha anche annunciato di non volere attendere i tempi della magistratura e se ve ne saranno le condizioni, vorrebbe esperire un’azione legale contro i vecchi amministratori, ma avvertendo che le banche dovranno dare una mano, perché nel prossimo futuro Il Sole 24 Ore avrà bisogno del loro sostegno. (Leggi anche: Crisi Sole 24 Ore, paga un’informazione sciatta)

Il passo indietro di Confindustria sarebbe storico

E mentre le indagini dei magistrati sugli abbonamenti fake e le copie cartacee mandate al macero vanno avanti, dalla stessa società emergerebbe un ruolo improprio dell’ex direttore Napoletano, il quale partecipava ai consigli di amministrazione e che pare che non avrebbe mai fornito cifre dettagliate sui piani editoriali. Il boom in borsa del titolo è da collegarsi anche alle voci di un interessamento da parte dei francesi di Vivendi, oggi azionisti di riferimento di Telecom Italia.

Anche un fondo cinese avrebbe mostrato interesse a investire nel gruppo, sebbene da Confindustria sia arrivata una chiusura (per adesso) a entrambi gli investitori.

Se gli industriali decidessero di diluire la loro quota anche solo parzialmente, sarebbe una rivoluzione per il primo quotidiano economico italiano. Una proprietà più variegata o persino un suo cambio potrebbe sganciarlo dalla necessità di essere sempre e comunque cassa di risonanza dell’intreccio tra interessi di Confindustria e quelli del governo italiano. Sarebbe forse percepito meno come un giornale d’establishment, specie se con la linea tracciata da Fossa, tornerebbe alla sua vocazione più propriamente economica e meno generalista degli ultimi anni.