Il governo Meloni si accinge a lanciare sul mercato un nuovo titolo di stato, con il fine di attirare maggiori capitali tra i risparmiatori domestici per finanziare le emissioni di debito pubblico. La Banca Centrale Europea (BCE) ha chiuso i rubinetti degli acquisti dopo quasi un decennio. Mentre i deficit dello stato rimangono elevati – attesi a una novantina di miliardi di euro per quest’anno – il peso degli investitori stranieri si assottiglia. Il nuovo bond avrebbe caratteristiche di estrema convenienza sul piano fiscale, del rendimento e giuridico.

I possessori avrebbero finanche la possibilità di utilizzare parte del capitale come garanzia per accedere al credito bancario. Voci, perché ufficialmente non c’è nulla se non le dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e della premier Giorgia Meloni.

Entrambi ritengono che più il debito pubblico sia in mani italiane, minore il rischio speculativo contro i nostri titoli di stato. Ed in fondo è vero, seppure non aprioristicamente. Il sistema Italia ha interesse a tenere sotto controllo la stabilità finanziaria. Banche, assicurazioni e fondi d’investimento domestici non avrebbero alcuna convenienza a segare l’albero sul quale sono seduti. I piccoli investitori, poi, non hanno generalmente finalità speculative. E se anche le avessero, non sposterebbero masse di capitali nel quotidiano.

A debito pubblico serve brusca frenata

Mentre il governo studia il BTp “patriottico”, sarebbe opportuno che guardasse ad alcuni dati relativi al debito pubblico. Tra il 2020 e l’ottobre scorso, lo stock è cresciuto di quasi 200 miliardi di euro. Nello stesso arco di tempo, la quota in mano ai residenti è salita di 222 miliardi e quella in mano agli investitori stranieri è scesa di quasi 25 miliardi. Questo significa una sola cosa: il sistema Italia non solo non ha mollato lo stato, ma ha accresciuto le sue esposizioni verso di esso. Certo, ciò è avvenuto essenzialmente grazie alla finanza, che inizia a inviare segnali di stress.

In effetti, le banche italiane hanno ridotto nell’ultimo anno di 14 miliardi i BTp in portafoglio. Le famiglie hanno incrementato i loro investimenti di una ventina di miliardi, circa il 10% del totale.

Non è sbagliato pensare che una maggiore quantità di capitali domestici debba finanziare il debito pubblico, a patto che si preveda contestualmente una frenata alla crescita di quest’ultimo. Ancora quest’anno, a causa dei costi legati al contrasto al caro bollette, il deficit fiscale è atteso dal governo al 4,5% del PIL. Alla fine del 2025, stando alla Nota di Aggiornamento al Documento di economia e finanza (NADEF) di novembre, il debito pubblico sfiorerà i 3.050 miliardi di euro, restando sopra il 141% del PIL. Questo significa che sarà cresciuto di quasi 500 miliardi in cinque anni e oltre 800 miliardi in dieci anni.

A questi ritmi, il problema non è che gli italiani acquistino poco debito pubblico nazionale, ma che questi cresce a una velocità inafferrabile. Ben vengano i titoli di stato mirati alle famiglie, molte delle quali restano a lungo liquide e che, in alternativa, avrebbero modo di mettere a frutto i risparmi. Ma ciò non sia una scusante per continuare a macinare deficit su deficit confidando che il sistema Italia continui a tenere a galla i conti dello stato.

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