Com’era quella storia che l’economia russa avrebbe mostrato una forte “resilienza” alle sanzioni finanziarie dell’Occidente? Un motivetto che abbiamo letto e ascoltato numerose volte da quando è iniziata l’occupazione dell’Ucraina. Numerosi media internazionali hanno sottolineato come il rublo, dopo essere imploso nei giorni successivi allo scoppio della guerra, sia risalito fino a portarsi sopra i livelli pre-bellici. In effetti, tra fine febbraio e inizio marzo dello scorso anno il cambio contro il dollaro era schizzato a 170.

Ma già nel giugno scorso si portava a 54, ai massimi dal 2015. Ieri, il cambio si era portato a 93,50 e contro l’euro sfondava quota 100, salendo in area 101,60. La valuta emergente si è indebolita ai livelli più bassi da almeno 15 mesi a questa parte.

Da quando le milizie Wagner hanno minacciato la marcia su Mosca, guidate da Evgenij Prigozhin, il rublo perde contro il dollaro quasi il 10%. Tanto, in un paio di settimane. Il governatore della Banca di Russia, Elvira Nabiullina, ha avvertito che questo indebolimento sia inflattivo. Dopo essere salita sopra il 17% nella primavera scorsa, l’inflazione è scesa al 2,5%. A limitarsi a leggere il dato, sembra che l’economia russa se la passi meglio dell’Occidente, dove il carovita resta un tema sensibile. La verità è molto meno lusinghiera.

Il rublo era stato rafforzato nei mesi successivi all’invasione dell’Ucraina dall’aumento dei tassi al 20% e dall’introduzione di stringenti controlli sui capitali. Resta il fatto che da allora i deflussi all’estero siano aumentati di 43,5 miliardi di dollari, superando i 73 miliardi a fine maggio. Avrebbero accusato un’accelerazione nelle ultime settimane. C’è paura per una possibile instabilità politica interna. Il potere di Vladimir Putin sembra tutt’altro che granitico come in passato. Gli oligarchi temono di finire male e stanno espatriando parte delle loro immense ricchezze.

Rublo legato a petrolio e gas

E Nabiullina ritiene che alla base del tonfo del rublo vi sia essenzialmente il minore avanzo commerciale.

Da oltre il 10% del PIL del 2022, risulterebbe dimezzato quest’anno. Petrolio e gas sono scesi di prezzo. Il primo è sotto embargo in Europa e Nord America, per cui è venduto a forte sconto sul mercato asiatico. E il Vecchio Continente sta azzerando le importazioni di gas russo, essendosi rivolto a fornitori alternativi. I prezzi si sono quasi normalizzati dopo essere letteralmente impazziti nel corso del 2022.

La debolezza estrema del rublo evidenzia non soltanto che le sanzioni stiano facendo effetto. L’economia russa è rimasta ancorata all’esportazione di materie prime. Non esiste una struttura industriale degna di nota nel paese. La ricchezza è in mano agli oligarchi, consorterie vicine al Cremlino che non producono alcunché, se non corruzione e malaffare. Il destino di Mosca resta legato a quello di petrolio e gas. Nei giorni scorsi, l’annuncio congiunto con l’Arabia Saudita circa l’ennesimo taglio alla produzione di greggio. I russi faranno la loro parte con mezzo milione di barili al giorno.

Un rublo al collasso potrebbe spingere quanto prima la Banca di Russia a tornare ad alzare i tassi d’interesse. La soluzione frenerebbe ulteriormente la crescita dell’economia russa. Il malessere tra la popolazione finirebbe per montare e per Putin non sarebbe un buon segnale, mentre le sue truppe rimangono impantanate in territorio ucraino e in patria esiste grande nervosismo tra gli stessi oligarchi, spaventati dall’idea di non poter godere all’estero delle loro ricchezze. Il peggio arriverebbe con una possibile recessione economica in Occidente. Paradossale che possa apparire, se il nemico si prende un raffreddore, a Mosca rischiano di beccarsi la polmonite. Un calo della domanda farebbe precipitare ulteriormente i prezzi delle materie prime. Il cambio sprofonderebbe ancora più in basso, l’inflazione galopperebbe e la stretta sui tassi necessari per contrastarla acuirebbe la crisi dell’economia russa.

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