Ammonterebbe ad almeno 2.000 miliardi di dollari il controvalore delle transazioni sospette effettuate tramite alcune tra le più grandi banche del mondo tra il 1999 e il 2017, frutto di 2.100 segnalazioni alle autorità anti-riciclaggio. Sono i risultati di un’inchiesta dell’International Consortium of Investigative Journalists, il consorzio dei media internazionale che negli anni passati ha pubblicato il famoso “Panama Papers”. Di questi, ben 1.300 miliardi risultano essere transitati attraverso Deutsche Bank, che non a caso lunedì ha chiuso la seduta in calo dell’8,73%.

Tra gli altri nomi citati vi sono Hsbc, Standard Chartered, JP Morgan, Bank of New York Mellon, Barclays, Societe Generale, Commerzbank, State Street e China Investment Bank.

Antiriciclaggio, aumentano le segnalazioni di Operazioni Sospette

Non si tratta di accuse inedite, tant’è che nel 2011 Hsbc Holdings venne condannata a pagare alle autorità americane 1,92 miliardi di dollari per alcune transazioni condotte a favore di boss della droga messicani. Standard Chartered, invece, nell’aprile 2019 fu condannata dagli USA a pagare 1,1 miliardi di dollari per avere violato l’embargo contro l’Iran.

Il crollo delle azioni in borsa è stato provocato dai timori del mercato per possibili conseguenze penali e sanzioni a cui gli istituti verrebbero sottoposti dalle varie autorità nazionali per le suddette violazioni riscontrate. In generale, sono accusati di avere trasferito denaro perlopiù su conti accesi in paradisi fiscali e il cui titolare fosse ignoto. Insomma, si sarebbero resi responsabili di riciclaggio di denaro, malgrado le numerose segnalazioni ricevute in tal senso.

Affondate anche le banche italiane

Per quanto nell’inchiesta non compaiano nomi di banche italiane, anche l’FTSE All Shares Bank a Piazza Affari ha ceduto quasi il 5%. Ma in questo caso, il crollo è stato originato da un “warning” lanciato da Standard & Poor’s, secondo cui le banche europee dallo scoppio della pandemia avrebbero acquistato altri 200 miliardi di euro di titoli di stato dei paesi in cui hanno sede, aggravando il rischio di cosiddetto “doom loop”, cioè di avvitamento tra debiti sovrani e bilanci bancari per il caso in cui i primi dovessero entrare in crisi.

Clausole di Azione Collettiva “single-limb”, perché sui BTp le banche tremano

L’istituto segnala come mediamente le banche di Germania e Francia abbiano a bilancio debiti emessi dai rispettivi paesi in cui hanno sede per circa il 5-10% dei prestiti erogati al settore privato, ma che questa percentuale sale al 20% in realtà come Spagna, Portogallo, Italia e Grecia, arrivando al 50% in alcuni paesi dell’est.

Rischi sulla ripresa post-Covid

Sappiamo che le banche italiane a luglio possedevano BTp per oltre 440 miliardi di euro, un dato che la dice lunga sul legame apparentemente inscindibile con il Tesoro. La BCE da anni ammonisce che un’eccessiva esposizione al debito sovrano del proprio paese comporti rischi nei casi di fibrillazioni fiscali, richiedendo che tale connubio si allenti, ma ad oggi non ha imposto regole allo scopo, pur richieste dalla Germania e i suoi alleati, proprio in considerazione delle ripercussioni all’impatto che avrebbero su un tessuto finanziario come quello italiano.

Le tensioni sulle banche di questi giorni non sono un buon segnale per l’economia nell’Eurozona, perché servirà il massimo sostegno del settore per potenziare le erogazioni a favore di imprese e famiglie per far ripartire produzione, investimenti e consumi dopo l’emergenza Covid. Se gli istituti, però, dovessero distogliere la loro attenzione a favore di bilanci più prudenti, scontando rischi legali e normativi, i rubinetti della liquidità verrebbero parzialmente chiusi, neutralizzando i benefici delle azioni ultra-espansive di politica monetaria di Francoforte.

Se le banche italiane dovranno vendere BTp sarà un disastro

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