Mancano pochi giorni al terzo board dell’anno della Banca Centrale Europea (BCE) e nell’aria vi è un ennesimo rialzo dei tassi d’interesse. A marzo, l’istituto ha portato i tassi di riferimento al 3,50% e quelli sui depositi bancari al 3%. Il mercato sconta una prosecuzione della stretta monetaria fino a quando i tassi di riferimento non saranno stati portati al 4,25%. Ad ogni modo, se da un lato non esiste dubbio alcuno circa il fatto che giovedì prossimo vi sarà il settimo ritocco all’insù consecutivo, i dubbi permangono circa la sua entità.

Da settimane, la battaglia tra “falchi” e “colombe” riguarda la volontà dei primi di aumentare i tassi BCE dello 0,50% a maggio e che si scontra con la richiesta dei secondi di limitarsi allo 0,25%. Molto dipenderà dai dati sull’inflazione di aprile, che saranno resi pubblici il 2 maggio per l’Area Euro. In Francia e Spagna, la crescita dei prezzi al consumo ha accelerato rispetto a marzo, cosa che non lascia presagire granché di buono. C’è da dire, però, che il PIL nel primo trimestre è cresciuto appena dello 0,1% nell’unione monetaria, meno dello 0,2% atteso. In Germania, in particolare, è rimasto stagnante.

L’attenzione sarà concentrata particolarmente sull’inflazione “core”, cioè al netto di energia e generi alimentari. A marzo, è salita al nuovo record del 5,7%. I “falchi” pretenderanno un rialzo dei tassi sostanzioso nel caso in cui la crescita proseguisse. Ma non è l’unico piano di discussione e trattative in seno al board. I governatori centrali del Nord Europa sarebbero pure disposti ad accettare un aumento dei tassi BCE solo dello 0,25% a maggio. In cambio, chiederebbero che l’istituto prospettasse nuovi rialzi per giugno.

Rialzo dei tassi BCE e riacquisti bond

Non solo. C’è la questione del Quantitative Tightening (QT). A partire dal marzo scorso, la BCE ha tagliato i riacquisti dei bond in portafoglio di 15 miliardi di euro al mese rispetto alle scadenze.

Questa misura è stata programmata fino a giugno. Dopodiché, esistono tre strade teoricamente da battere: o il QT rimane invariato o viene inasprito o viene cancellato. L’ultima ipotesi non sembra molto probabile con l’inflazione ancora un multiplo del target del 2%. Invece, diventa sempre probabile l’ipotesi che ad essere cancellati siano i riacquisti per intero. Insomma, la fine del Quantitative Easing. In parole povere, nessuno dei bond in scadenza sarebbe rinnovato.

Come vediamo, il solo rialzo dei tassi BCE non esaurisce la famosa cassetta degli attrezzi della politica monetaria. Già dal novembre scorso le condizioni sui prestiti T-Ltro erogati alle banche in pandemia a tassi negativi sono state riviste in peggio, al fine di incentivare le banche stesse a restituire in anticipo la liquidità ottenuta. E adesso si prospetta la fine dei riacquisti dei bond, i quali ancora parzialmente avvengono con il QE. Con il portafoglio PEPP, invece, per il momento non esistono restrizioni. Sarebbe la chiusura quasi definitiva dei rubinetti della liquidità. Ma l’opzione va soppesata per non risultare eccessivamente dura all’economia dell’Area Euro. Soprattutto, resta l’occhio vigile sul sistema bancario e finanziario nel suo complesso. Francoforte non può e non vuole permettersi che scricchiolino diversi istituti com’è accaduto a marzo negli Stati Uniti.

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