Da quando il governatore della BCE, Mario Draghi, ha annunciato l’estensione del “quantitative easing” per altri 9 mesi fino al settembre 2018, pur con acquisti dimezzati a 30 miliardi mensili, i rendimenti sovrani nell’Eurozona sono precipitati. I decennali dei nostri BTp sono scesi di 43 punti base all’1,79% attuale, il livello più basso toccato dai primissimi scambi di inizio 2017. E così, lo spread BTp-Bund sulla scadenza decennale stringe a poco sopra i 140 punti base, ai minimi da oltre un anno. Tutto bene, se non fosse che nelle stesse sedute stia accadendo che le quotazioni del petrolio siano risalite ai massimi da metà 2015, con il Brent a guadagnare il 10% in appena un mese.

(Leggi anche: Svolta gentile di Draghi manda spread ai minimi da 10 mesi)

Vi chiederete cosa c’entrino i BTp con il petrolio. Diciamo, in estrema sintesi, che l’andamento del secondo influenza il primo. Prendiamo lo scorso anno, quando a gennaio le quotazioni del greggio erano sprofondate nel range di 25-30 dollari. Da febbraio, però, a seguito delle lunghe trattative avviate dall’Arabia Saudita con la Russia per concordare il taglio della produzione, messo nero su bianco solo alla fine del novembre successivo, il rialzo sui mercati internazionali fu del 75% e già a metà agosto le quotazioni sfondavano i 50 dollari, livello massimo da 10 mesi. La conseguenza di tale trend fu che i rendimenti sovrani nell’Eurozona tornarono a salire dall’agosto dello scorso anno, con i decennali italiani più che raddoppiati in appena un trimestre, in coincidenza con le tensioni politiche inerenti il referendum costituzionale.

Petrolio più caro indebolisce i BTp

Quale legame tra le due variabili? Le quotazioni del petrolio determinano il livello dei prezzi tra le economie importatrici. Non a caso, i rendimenti nell’unione monetaria hanno iniziato a risalire con le attese di reflazione, ovvero di un ritorno dell’inflazione, dopo lo spauracchio della deflazione.

Poiché il mercato guarda al livello dei tassi reali, con un’accelerazione dell’inflazione pretende rendimenti più elevati. Nel caso attuale, non saremmo dinnanzi a una crescita drastica dei prezzi del greggio, anche se questa viene amplificata nelle ultime settimane dai guadagni del dollaro contro l’euro, visto che la materia prima la si compra in valuta americana. Il cambio euro-dollaro si è indebolito del 3,6% in meno di due mesi.

I mercati non potranno continuare a ignorare queste dinamiche, perché se è vero che la BCE si è impegnata a iniettare altri 270 miliardi di liquidità nel 2018, è indubbio che con un’eventuale accelerazione dell’inflazione nell’ultima parte dell’anno, già all’inizio dell’anno prossimo potrebbe mostrarsi meno accomodante, spingendo i mercati a posizionarsi in vista di una definitiva chiusura dei rubinetti. In sostanza, i guadagni per i BTp, così come per gli altri bond dell’Eurozona, non potranno durare molto o andare oltre un certo punto. Anzi, forse abbiamo già toccato l’apice, anche perché in Italia si avvicinano le elezioni, ovvero nuove tensioni politiche. (Leggi anche: Petrolio ai massimi da metà 2015 sopra $60)