Dopo quattro giorni di intense trattative, l’accordo sul Recovery Fund è finalmente stato raggiunto. I leader dei 27 stati dell’Unione Europea hanno siglato l’intesa, che adesso dovrà essere ratificata dai singoli stati e dall’Europarlamento. La Commissione europea riceverà mandato di indebitarsi a nome di tutti gli stati e fino a un massimo di 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi in forma di aiuti (a fondo perduto) e 360 di prestiti. Rispetto alla proposta iniziale di 500 miliardi di “grants” e 250 di prestiti, le ambizioni dell’asse franco-tedesco sono risultate ridimensionate.

Ad ogni modo, all’Italia spetterebbero 209 miliardi di euro, di cui 81,4 di aiuti e 127 di prestiti. Al netto dei contributi versati, le somme che riceveremmo scenderebbero a 25 miliardi.

Il Recovery Fund è una recita che serve a tutti, Italia per prima

Questo denaro sarà erogato tra il 2021 e il 2023, mentre dovrà essere restituito a partire dal 2027. Entro quella data, i 27 della UE dovranno accordarsi sulle entrate comunitarie per coprire il denaro che la Commissione dovrà restituire al mercato e che non riceverà indietro dagli stati che lo hanno a loro volta ottenuto e impiegato. A tale proposito, si parla di tasse comuni.

L’Olanda non esce affatto a mani vuote dalla trattativa. Ha dovuto rinunciare al diritto di veto per i singoli stati, ma se si registrassero “deviazioni significative” rispetto agli impegni assunti per gli stati che ricevono denaro, potrebbe essere attivato un iter di blocco delle erogazioni, che coinvolgerebbe il Consiglio europeo. Inoltre, chi riceverà aiuti e prestiti sarà sottoposto a controlli stringenti sul loro impiego. Infine, L’Aja incassa il “super sconto”, noto in gergo come “rebate”, il quale verrà raddoppiato rispetto a quello attuale. In pratica, pagherà minori contributi al bilancio comunitario da 1.074 miliardi in 7 anni, insieme a Danimarca, Svezia, Austria e Germania. E la quota di tasse UE salirà dal 20% al 25%, tra cui i dazi doganali, premiando realtà come Rotterdam, che ospitando uno dei principali porti europei vede legate le sue entrate proprio ai dazi comunitari.

La vittoria dei “frugali”

Alla fine, tutti possono cantare vittoria, ma forse nessuno ha realmente vinto. L’Italia ottiene non solo la quota più significativa delle erogazioni teoriche spettanti, bensì il principio di incipiente mutualizzazione del debito. Tuttavia, i paesi cosiddetti “frugali” hanno ricevuto adeguate rassicurazioni sul fatto che i debiti saranno garantiti pro quota dalle singole nazioni e semmai vi sarà una minima redistribuzione dei fondi all’atto delle loro erogazioni. Quanto, poi, al legame tra fondi e stato di diritto, Ungheria e Polonia portano a casa un forte annacquamento di tale principio.

Ecco perché i paesi “frugali” hanno paura dell’Italia

Interessanti le parole usate ieri dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz, il quale ha sostenuto che i frugali adesso sono diventati più forti davanti a Germania e Francia. In effetti, essi escono quali effettivi vincitori di questa lunga partita, peraltro non ancora finita. Hanno fatto blocco e resistito alle pressioni franco-tedesche per avallare un Fondo per la Ripresa più spinto di quello che alla fine sono riusciti a far passare. Hanno dimostrato di essere incisivi e non semplicemente replicanti delle posizioni di Berlino. Hanno, infine, sminuito e quasi neutralizzato il ruolo della Francia, che da stato consorte della Germania ha dovuto assistere a una perdita della propria influenza in queste trattative.

Il ruolo della Germania

La Germania ufficialmente se l’è cavata bene, essendo riuscita da presidente di turno della UE a lanciare ai mercati un segnale di unità ed efficacia nella lotta alla crisi. La sua principale vittoria consiste, però, nell’avere messo a tacere le posizioni più “avanguardiste” di Parigi, di fatto coperte da quelle conservatrici dei frugali.

Berlino ha potuto toccare con mano l’esistenza di un nutrito gruppo di paesi economicamente forti, che nei fatti sostengono le sue posizioni e che per ragioni di leadership non sempre essa è in grado di portare avanti formalmente con il dovuto vigore.

Tornando all’Italia, adesso dovrà presentare progetti credibili per l’ottenimento dei fondi. La storia di questi ultimi decenni ci racconta una realtà tutt’altro che positiva, con miliardi di euro che tornano indietro dalle regioni per l’incapacità degli enti locali di spenderli nei tempi e nei modi richiesti. La paralisi burocratica italiana rischia di farci sprecare una grossa opportunità di rilancio, ma ai mercati poco importerà. A loro serviva il segnale di unità della UE, che è arrivato, in ritardo e raffazzonato. Il denaro che conta lo mette a disposizione la BCE con gli acquisti ingenti di questi mesi. Tanto basta per placare le tensioni finanziarie. Ancora una volta, la politica ha fatto flop, mentre Francoforte rimane l’unica e vera istituzione degna di nota e capace di mettere l’euro al riparo dalla tempesta.

Bond Eurozona, quali effetti a breve e medio termine del Recovery Fund

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