Da inizio anno, la BCE ha acquistato 70 miliardi di titoli di stato italiani. Di questi, per oltre la metà (37,36 miliardi) sono dovuti al PEPP, il piano emergenziale contro il Coronavirus varato a marzo per 750 miliardi di euro e potenziato di 600 miliardi al board di questo giovedì, nonché esteso di ulteriori 6 mesi. Oltre un quinto dei 172,7 miliardi destinati ai titoli di stato, tramite questo programma, è andato a beneficiare i BTp. Di fatto, al 31 maggio scorso, Francoforte è arrivato a detenere 433,56 miliardi di euro in bond sovrani tricolori, circa il 21,3% dei titoli di stato italiani complessivamente in circolazione.

La BCE alza il PEPP di 600 miliardi: boom dei BTp, ma restano due ostacoli

Oltre ai 750 miliardi del PEPP, abbiamo i 20 miliardi mensili del “quantitative easing” ordinario, a cui a marzo sono stati aggiunti altri 120 miliardi da utilizzare entro fine anno. In tutto, una potenza di fuoco di 1.110 miliardi, a cui vanno sommati i suddetti 600 miliardi deliberati giovedì scorso. Totale: 1.710 miliardi. Non sappiamo se almeno buona parte di questi acquisti potenziati verranno condotti già da quest’anno. Ad ogni modo, entro il giugno dell’anno prossimo, presupponendo che il QE verrà lasciato intatto alla dimensione attuale, la BCE avrà rastrellato sui mercati qualcosa come 1.830 miliardi in appena 18 mesi. Di questi, una quota stimabile nell’80% sarà riservata ai titoli di stato e di questa circa 250 miliardi spetteranno ai BTp, stando alla regola del “capital key”.

In realtà, gli acquisti risultano sganciati dalle quote nazionali con il PEPP, offrendo alla BCE grande flessibilità nel gestire il programma. Ipotizzando che ai nostri titoli venga riservata una quota di almeno il 20%, superiore al 17% del “capital key”, si supererebbero i 290 miliardi. Dunque, entro il giugno dell’anno prossimo Francoforte arriverebbe a detenere oltre 650 miliardi di BTp. Stimando per allora le emissioni nette di debito pubblico in aumento di 240 miliardi rispetto al dicembre scorso, la quota in possesso dell’istituto si porterebbe intorno al 29%.

In assenza di variazioni per banche e assicurazioni italiane, sarebbe il primo creditore di Roma e di gran lunga.

Verso sostegno diretto ai bilanci nazionali

Se escludiamo del tutto i 600 miliardi extra per quest’anno, al 31 dicembre prossimo la BCE dovrebbe ritrovarsi in possesso di almeno 540 miliardi di BTp, pari a quasi un quarto delle emissioni complessive circolanti. In altre parole, l’istituto avrebbe più che coperto le emissioni nette del 2020, consentendo al Tesoro di rifinanziarsi sui mercati a costi contenuti, per quanto nettamente superiori a quelli di quasi tutti i partner dell’area. Peraltro, tutti i titoli in scadenza con il PEPP fino alla fine del 2022 verranno reinvestiti, cioè non dovremmo preoccuparci nemmeno delle scadenze medio-brevi, nel caso in cui il programma cessasse di esistere, una volta finita l’emergenza.

Ecco come la BCE dopo Draghi ‘cancellerà’ i debiti degli stati dell’euro

Il fatto che la BCE diventi un creditore preminente nei confronti un po’ di tutti gli stati dell’Eurozona ne accrescerà l’influenza verso i governi e non possiamo nemmeno escludere che, ad un certo punto, così com’è avvenuto con la Grecia negli ultimi anni, l’istituto decida di rigirare pro-quota agli stessi bilanci nazionali gli interessi riscossi annualmente con i bond. In un certo senso, sarebbe come se i debiti sovrani non staccassero più cedole per la quota posseduta dall’Eurotower, divenendo per quest’ultimo infruttiferi e per i governi emittenti a costo zero. Per l’Italia, ogni 1% di minori interessi su questi BTp in pancia alla BCE implicherebbe risparmi potenziali per 5-6 miliardi all’anno, circa lo 0,3% del pil. Sarebbe un altro contributo che Francoforte darebbe per il superamento della crisi fiscale e per il rilancio delle economie dell’area, che si prevede tutt’altro che immediato e vigoroso.

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