A Wall Street serpeggia un certo nervosismo nelle ultime sedute, complici le tensioni internazionali sui dazi dell’amministrazione Trump, in parte già imposti e in parte minacciati contro Cina, Europa e i partner del NAFTA. Si teme una “guerra” commerciale dagli esiti potenzialmente devastanti per tutta l’economia mondiale, ragione per cui le borse si mostrano abbastanza caute. L’indice S&P 500 ha già ridotto i guadagni del 4,5% rispetto ai massimi storici toccati nel mese di gennaio, anche se il bilancio resta positivo del 2,5% quest’anno.

In realtà, sembra che i mercati finanziari siano a caccia di un pretesto per vendere. In fondo, hanno sempre funzionato così. Gli investitori comprano, comprano, i prezzi salgono e per vendere hanno bisogno di una ragione sensata, altrimenti rischiano di uscire dal mercato nel momento sbagliato, rinunciando a ulteriori guadagni.

Investire in borsa ha senso con questa curva dei rendimenti?

La borsa americana cresce sin dal marzo del 2009, mese in cui ha iniziato a riprendersi dal crollo innescatosi nell’estate di due anni prima e accelerato con il crac di Lehman Brothers appena 6 mesi prima. Da allora, le azioni sono esplose mediamente di oltre il 300%, del 30% dalla vittoria inattesa di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane del novembre 2016.

Il confronto tra bond e azioni

In genere, per valutare se le azioni siano o meno sopravvalutate, si confrontano due dati: il rendimento medio dell’indice azionario, per ipotesi dell’S&P 500, con quello dei Treasuries, i titoli di stato USA. Le azioni sono un investimento a rischio, che presuppongono per ciò stesso l’offerta di un premio rispetto al rendimento dato da un asset “risk free” come i titoli del debito americano. Pertanto, più i rendimenti di questi ultimi si avvicinano a quelli azionari, meno appetibile diventa per gli investitori puntare sula borsa.

Del resto, se posso guadagnare la stessa percentuale acquistando bond a rischio zero o quasi, perché mai perdere il sonno con le azioni?

Al momento, il rendimento decennale del Treasury si aggira al 2,8%, mentre il rendimento medio azionario dell’S&P 500, dato dagli utili rapportati ai prezzi dei titoli, si attesta a un buon 4%. Dunque, non sembra che vi siano ancora ragioni per uscire da Wall Street. L’1% di differenza sembra poco, ma non lo è. Tuttavia, guardando all’ultima crisi borsistica, iniziata nel settembre 2007, scopriamo che il rendimento azionario risultava allora maggiore del 5% e superiore al 4,5% offerto dal decennale americano. Nonostante ciò, il ripiegamento ebbe ugualmente avvio. Per contro, nell’estate del 2000, quando esplose la bolla high tech, il rendimento azionario era del 3,5%, mentre quello dei decennali USA del 6%. Evidente, quindi, come vi fossero solide ragioni per spostarsi da un comparto di investimento all’altro.

Borsa americana in correzione, ecco cosa potrebbe accadere ora

In realtà, potremmo completare l’analisi, pur superficiale, dei dati, monitorando anche il Treasury a 2 anni. Oggi rende il 2,5%, solo lo 0,3% in meno di un decennale, segnalando lo spread minimo dal 2007. E proprio nel mese in cui Wall Street pose fine a 7 anni abbondanti di guadagni, la differenza tra rendimenti decennali e biennali risultava scesa nell’ordine dello 0,5%, mentre all’inizio del Millennio era praticamente azzerata, con entrambe le scadenze al 6%. Cosa vogliamo dire? Non necessariamente dobbiamo attendere che i rendimenti a lunga scadenza dei bond USA pareggino quelli azionari americani per temere una crisi borsistica. Essa potrebbe arrivare anche ben prima e gli ultimi cicli ci insegnano che un simile evento rischia di arrivare con l’assottigliamento eccessivo dello spread tra decennali e biennali, che generalmente annuncia anche l’inizio di una fase di recessione per l’economia americana. E ci troviamo già in questa fase, anche se sul fronte macro non sembra vi siano ancora segnali che lascino pensare a una contrazione del pil a stelle e strisce.

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