Wall Street è entrata ufficialmente in correzione, avendo perso il 10% dal picco massimo toccato verso la fine di gennaio. Ieri, l’indice Dow Jones ha chiuso la seduta con un tonfo del 4,3%, mentre l’S&P 500 ha accusato un ribasso del 3,75%. Ad avere contribuito in maniera determinante al nuovo “sell-off” è stato un dato positivo pubblicato dal Dipartimento del Lavoro, secondo cui le richieste di sussidi di disoccupazione la settimana scorsa sono scese ai livelli più bassi da 45 anni a questa parte.

Il mercato vede in queste cifre la conferma che l’inflazione negli USA potrebbe subire un’accelerazione, essendo l’economia americana in piena occupazione. Da qui, la previsione e il timore che la Federal Reserve sarà costretta ad alzare i tassi più velocemente di quanto atteso sinora. E tassi più alti implicano minore liquidità con cui acquistare assets, nonché anche valutazioni più basse per i titoli azionari. (Leggi anche: Sui mercati azionari è tornata la volatilità, ma è una buona notizia)

Cosa succede a un mercato in fase di correzione? Goldman Sachs ha pubblicato un elenco di tutti i ribassi accusati da Wall Street dal Secondo Dopoguerra ad oggi, indicandone l’intensità, la durata e i mesi necessari per recuperare le perdite. A tale proposito, bisogna considerare una distinzione tra correzione e “bear market” o mercato dell’orso. La prima scatta al raggiungimento di almeno il 10% delle perdite, il secondo quando queste toccano almeno il 20% rispetto ai precedenti massimi.

Se Wall Street riuscisse a restare solo in correzione, senza per ciò scivolare nell’orso, tenendo presenti le ultime 10 volte in cui il mercato azionario ha ripiegato meno del 20%, dovremmo attenderci un ribasso medio nell’ordine del 12% e una durata della fase calante di un paio di mesi, mentre il recupero avverrebbe nel corso dei successivi 3-4 mesi. Insomma, se fosse così, al massimo entro marzo finirebbe la tendenza ribassista ed entro luglio dovremmo tornare a toccare i massimi di gennaio.

L’entrata nell’orso provocherebbe una crisi più lunga

Diverso lo scenario nel caso “bearish”. Le perdite medie per le ultime 5 volte in cui esso si è verificato sono state nell’ordine del 37%, accusate nell’arco di ben 15 mesi e recuperate nei successivi 26 mesi. Dunque, la tendenza ribassista durerebbe fino alla primavera dell’anno prossimo e per tornare ai massimi di gennaio dovremmo attendere l’estate del 2021, ovvero circa 3 anni e mezzo da ora. Chiaramente, la storia passata non è destinata a ripetersi per intensità e durata, per cui le nostre sono semplicemente supposizioni sulla base dei dati in possesso sugli ultimi andamenti negativi della borsa americana.

Al momento, il rapporto prezzi/utili per le società quotate nell’S&P 500 risulta di poco superiore a 24, nettamente al di sopra della media storica di 15,7. Ciò segnalerebbe che le azioni americane sarebbero ipercomprate, ma bisogna aggiungere che le previsioni sugli utili stanno migliorando di trimestre in trimestre e se fossero confermate, il rapporto si abbasserebbe per la lievitazione del denominatore, specie a seguito della correzione in corso. Prima dell’ultima crisi borsistica, iniziata nell’ottobre del 2007 e finita nel marzo del 2009, il rapporto prezzo/utili era in area 20,7, ragione per cui tra una semplice correzione e utili in crescita, si potrebbe ipotizzare che il mercato azionario si riporti a quei livelli, ma senza subire crolli marcati e prolungati. (Leggi anche: Mercati azionari in calo, ecco perché a Wall Street prevalgono le vendite)

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