Quando il centro-destra vinse le elezioni politiche nel settembre dello scorso anno, gran parte della stampa e degli analisti politici gridò al pericolo “populista”. Il pensiero correva più di ogni altra cosa alle pensioni. Il rischio per molti consisteva nello smantellamento della legge Fornero, introdotta a partire dal 2012 e che tanto impopolare è risultata essere a destra come a sinistra. La Lega ne ha fatto per anni un cavallo di battaglia, promettendo agli elettori il suo disfacimento. Meno netta la posizione di Fratelli d’Italia, che comunque non ha mai digerito la riforma.

Taglio rivalutazione assegni medio-alti

Fatto sta che a distanza di un anno scarso dalla nascita del governo Meloni, tutto possiamo affermare, tranne che sulle pensioni il centro-destra abbia mostrato colpi di testa. Anzi, sin dal suo debutto si è lanciato in misure di per sé impopolari. Al fine di contenere la spesa previdenziale, esplosa con l’inflazione, l’esecutivo al suo esordio con la legge di Bilancio 2023 pose un limite alla rivalutazione degli assegni sopra 4 volte il trattamento minimo, scontentando diversi milioni di pensionati con importi mensili medio-alti. Una scelta ribadita questa settimana e che vedrebbe ulteriormente tagliata l’indicizzazione per gli assegni più alti, quelli sopra 10 volte il trattamento minimo.

Quota 104 e Fondo flessibilità

Il capitolo pensioni non si esaurisce con la rivalutazione. Dall’anno prossimo, scompare Quota 103. Per lasciare il lavoro prima dei 67 anni si dovranno maturare i due seguenti requisiti: almeno 63 anni di età e 41 anni di contributi. Si passa sostanzialmente a Quota 104. L’inasprimento delle condizioni per andare in quiescenza riguarderà anche la platea dei beneficiari con Opzione Donna e Ape Social. Le due misure lasceranno il posto ad un fondo per la flessibilità, così da fare ordine in materia. Le categorie dei care-giver, degli invalidi e degli uomini disoccupati potranno uscire dal lavoro con almeno 63 anni di età e 36 anni di contributi (35 o meno per le donne con figli, dipenderà dalla discussione nelle prossime settimane).

Resterà ovviamente in vigore la pensione anticipata per la generalità dei lavoratori: in pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi (uomini) o 41 anni e 10 mesi (donne). Il centro-destra sta puntando sì ad aumentare le pensioni minime, già a 600 euro per gli over 75, ma senza accorciare l’età pensionabile. Al contrario, questa nei fatti viene allungata riducendo le scorciatoie per lasciare il lavoro in anticipo. E i 63 anni come soglia minima sono più che altro una formalità. La quasi totalità dei lavoratori a quell’età non possiede i 41 anni di contribuzione richiesta. Dunque, è assai verosimile che Quota 104 all’atto pratico diventi Quota 105 o Quota 106, ecc.

Pensioni a 63 anni tra bonus e malus

Coloro che maturano i requisiti per andare in pensione e attendono l’età ufficiale per lasciare il lavoro, avranno diritto a un premio sotto forma di busta paga più pesante per effetto della decontribuzione prevista con il bonus Maroni. Viceversa, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha parlato anche di “penalizzazione” per coloro che lasciano il lavoro prima. Non è dato sapere ancora in quale forma, ma è possibile che il governo fissi un tetto all’assegno erogato fino al raggiungimento dell’età pensionabile. Al contempo, chi volesse andare in pensione anticipata con l’assegno liquidato interamente con il metodo contributivo, non dovrà più sottostare alla regola per cui l’importo debba risultare inferiore a 1,5 volte il trattamento minimo.

La logica del governo Meloni sembra chiara: le pensioni anticipate senza oneri per lo stato prevedranno requisiti più flessibili, fermo restando che tutti gli altri dovranno almeno attendere di raggiungere 63 anni di età. E dire che i partiti che gridano al populismo, negli anni di governo non fecero altro che dilatare la spesa per le pensioni con una clausola di salvaguardia dopo l’altra e introducendo continue nuove misure di pensionamento anticipato alternative alla legge Fornero.

Che servissero i populisti per fissare un limite anagrafico minimo?

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