C’è grande attesa per l’esito della riunione del comitato di politica monetaria, iniziata ieri alla Federal Reserve. In realtà, l’annuncio appare scontato. Salvo sorprese, i tassi d’interesse saliranno di un altro 0,75% al 3,25%. La prima economia mondiale batte i tempi e l’intensità della stretta monetaria globale contro l’inflazione. Ovunque, i prezzi al consumo corrono ai massimi da molti anni a questa parte, spesso tre o quattro decenni. Ma superato lo scoglio di questa sera (ore italiane), i mercati domani dovranno fare i conti con le decisioni di ben altre tre banche centrali: Svizzera, Regno Unito e Norvegia.

Praticamente, mezza Europa aggiornerà il costo del denaro. E in tutti i casi sono attesi aumenti.

Corsa mondiale ad alzare i tassi d’interesse

La Banca d’Inghilterra avrebbe dovuto riunirsi giorno 15, ma ha posticipato l’evento a seguito del periodo di lutto per la morte di Elisabetta II. Con ogni probabilità, varerà il più grande aumento dei tassi d’interesse negli ultimi 33 anni, cioè dello 0,75%. Sarebbe così in linea con le decisioni recenti sia della FED che della BCE, le due principali banche centrali del pianeta. Di 75 punti base sarebbe l’aumento in vista anche per la Banca Nazionale Svizzera, che ancora tiene i tassi d’interesse fissati al -0,25%. Dopodomani, il paese alpino dirà addio alla lunga era dei tassi negativi.

La Norvegia dovrebbe, invece, aumentare i suoi tassi di mezzo punto percentuale. Invece, un altro stato scandinavo ha già sorpreso al rialzo. Si tratta della Riksbank. L’istituto svedese ha aumentato i tassi d’interesse, addirittura, dell’1%. La Svezia si trova in una fase di transizione politica dopo la vittoria di misura del centro-destra alle elezioni politiche di domenica 11 settembre. La politica monetaria qui deve cercare di correre ai ripari contro un’inflazione che ad agosto ha sfiorato la doppia cifra.

Fine del denaro facile

La corsa al rialzo dei tassi d’interesse si sta rivelando più veloce di ogni previsione. Nessuno avrebbe immaginato fino a qualche mese fa che le banche centrali avrebbero avvertito la necessità di superare i lunghi anni di politiche monetarie espansive per riaffermare il controllo dei prezzi al consumo. Certo, in termini reali i tassi restano profondamente negativi. Anzi, nel corso di questi mesi stanno continuando a scendere. Pensate che a gennaio i tassi BCE erano a zero, a fronte di un’inflazione nell’Eurozona al 5,1%. Oggi, stanno a 1,25% contro un’inflazione di agosto al 9,1%.

Sta di fatto, però, che il messaggio che i governatori stanno recapitando ai mercati è chiaro: è finita l’era del “denaro facile”. Nel decennio passato, le borse salivano e i rendimenti dei bond scendevano. E’ stata la pacchia per chiunque investisse. I tassi negativi infliggevano perdite alla scadenza, non se i bond venivano rivenduti a prezzi ancora più alti nei mesi successivi. Si era innescato un circolo vizioso di cui non si vedeva la fine, grazie alla bassa inflazione presso le economie avanzate.

Urge fermare la speculazione finanziaria

Tra pandemia prima e guerra dopo, l’inflazione è esplosa, trainata proprio dall’immenso flusso di liquidità venutosi a creare negli anni del denaro facile. Migliaia di miliardi di dollari pronti ad essere impiegati anche a scopo prettamente speculativo sul mercato delle materie prime, entrando nelle case dei consumatori sotto forma di boom dei prezzi. Le banche centrali hanno ritenuto, a torto, fino a un paio di mesi fa che il fenomeno si sarebbe sgonfiato da sé. Ma adesso che i tassi d’inflazione si avvicinano in molti casi alla soglia del 10% (superata nel Regno Unito a luglio), si vedono costrette a intervenire alzando i tassi d’interesse per rendere più costosa la stessa speculazione.

E, però, per un’era che si chiude, se ne apre un’altra caratterizzata da mille incognite. Riusciranno le banche centrali a riportare l’inflazione sotto controllo in tempi rapidi e senza provocare una grave recessione economica? Gli sconquassi finanziari saranno evitati o rischiamo un secondo 2008? Tassi d’interesse in rialzo già significano rate dei mutui più alte, cioè minore capacità di spesa per milioni di famiglie in Europa e Nord America. E impressiona la velocità con cui ciò sta avvenendo. Rincari anche del 30-40% in pochi mesi per pagare l’acquisto recente di un immobile. I governatori corrono a riparare i loro errori in estremo ritardo e a pagarne lo scotto è il solito noto.

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