I mercati finanziari scontano da qualche settimana la conclusione della stretta monetaria globale attesa per i prossimi mesi. Essa sarebbe conseguenza del calo dell’inflazione un po’ in tutti i paesi dopo i picchi raggiunti a fine 2022. I prezzi al consumo sono cresciuti ai ritmi maggiori degli ultimi quaranta anni, ma il rallentamento è già visibile. Fa ben sperare in Europa, in particolare, il tracollo del prezzo del gas ai livelli di settembre 2021. Tuttavia, non lo stesso si può dire del mercato del petrolio.

Le quotazioni del Brent ieri superavano gli 87 dollari al barile, segnando un rialzo del 12% dai minimi di inizio gennaio. Il rally è sostenuto dalle previsioni su domanda e offerta. L’OPEC, principale cartello petrolifero mondiale capeggiato dall’Arabia Saudita, stima che i consumi quest’anno saliranno di 2,2 milioni di barili al giorno, raggiungendo il record storico di 101,8 milioni. Buona parte di tale crescita si avrà grazie alla Cina, la cui domanda è attesa a +510.000 barili al giorno.

Petrolio, determinanti Russia e Cina

L’Agenzia internazionale per l’energia ha diffuso ieri le sue stime, secondo le quali la domanda salirà di 1,9 milioni di barili e l’offerta solamente di 1 milione di barili al giorno. Quasi la metà dell’aumento dei consumi si avrà in Cina. Le riaperture dopo i durissimi lockdown anti-Covid stanno già facendo salire la domanda di energia presso la seconda economia mondiale. Essa era scesa per la prima volta dal 1990 proprio per le restrizioni imposte a larga parte della popolazione nel 2022.

Altro punto di domanda riguarda la Russia. L’embargo europeo contro anche i suoi prodotti petroliferi raffinati scatterà dal 5 febbraio. Previsto un tetto massimo di 60 dollari al barile per poter continuare a importare greggio da Mosca. Ma se il Cremlino reagirà con lo stop alle forniture, quasi un terzo dell’offerta di petrolio in Europa svanirà in un solo colpo.

Inevitabile sarebbe l’esplosione dei prezzi sul mercato internazionale. Per le speranze di una discesa rapida dell’inflazione nei prossimi mesi, uno scenario abbastanza inquietante. Nel frattempo, poi, le scorte di greggio sono scese ai minimi dagli anni Ottanta negli Stati Uniti, dove il governo ha usato 200 milioni di barili per calmierare i prezzi nell’ultimo anno. La buona notizia è che in questo mese di gennaio le scorte stanno risalendo e anche rapidamente.

Fine strozzature offerta

Le riaperture in Cina faranno rincarare anche tutte le altre materie prime, visto che equivarrà al ritorno ai livelli di produzione ordinari. D’altra parte, cesseranno da qui a breve del tutto le strozzature dell’offerta a cui abbiamo assistito in Occidente negli ultimi tre anni e che in molti casi hanno portato a una riduzione significativa dell’offerta. Si pensi alla carenza di chip, che ha decimato la produzione di auto, elettrodomestici e dispositivi elettronici. Da questo punto di vista, l’impatto sull’inflazione sarebbe positivo, cioè i prezzi di numerosi prodotti in Europa e Nord America scenderanno o almeno si stabilizzeranno.

Ma come abbiamo imparato a nostre spese di recente, l’energia è alla base di tutto. Se la domanda di petrolio sale e le sue estrazioni scendono, i rincari finiranno per generare una nuova ondata d’inflazione. E c’è un altro motivo per cui le quotazioni sono tornate a salire. Rispetto a qualche mese fa, lo scenario di una recessione è diventato meno probabile negli Stati Uniti e persino nell’Europa nella morsa della crisi energetica. Ciò prelude al fatto che i consumi reggeranno. Una buona notizia, insomma, ma che alimenta quelle aspettative che rischiano di portarci cattive novelle.

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