I prezzi al consumo in Cina sono scesi su base annua anche nel mese di ottobre e dello 0,2%, più delle previsioni per un -0,1%. I prezzi dei generi alimentari sono crollati del 4% dopo il -3,2% di settembre, mai così male da 25 mesi. Insomma, un mondo speculare all’Europa, dove ancora l’inflazione tiene banco e risulta in cima ai pensieri di famiglie, imprese e governi. Pechino, invece, flirta ogni mese di più con la deflazione, che è tecnicamente il contrario dell’inflazione, ma che si porta dietro ragionamenti un po’ più complessi.

Crisi mercato immobiliare cinese

Anzitutto, cosa sta provocando la caduta dei prezzi cinesi? Ed è compatibile con una condizione di crescita dell’economia? Di solito siamo abituati a pensare che l’inflazione sia sintomatica di un’economia che corre troppo, per cui dovremmo dedurre che la deflazione rispecchi il caso opposto di economia in crisi. La verità è che non sta scritto da nessuna parte né l’una, né l’altra cosa. Vero è, però, cha la deflazione cinese non sia nata a caso. Essa sarebbe la conseguenza del tracollo del mercato immobiliare.

Dovete sapere che gli investimenti in Cina incidono per il 40% del PIL, il doppio della media occidentale. Gran parte di essi sono rivolti al settore delle costruzioni. E cosa hanno costruito negli ultimi anni le ditte cinesi? Case, case e sempre case. Ce ne sono così tante che esistono ormai da tempo città fantasma. Palazzi e interi quartieri rimasti invenduti, perché la domanda non ha fatto in tempo ad adeguarsi all’eccesso di offerta. Il crac di Evergrande è stato indicativo di quanto stia accadendo. La Banca Popolare Cinese si è vista quest’anno costretta a tagliare i tassi di interesse per aumentare la liquidità a favore delle banche e, quindi, di imprese e famiglie. Esattamente tutto il contrario di quanto accade in Europa e Stati Uniti.

Deflazione cinese colpisce bilancia commerciale europea

La deflazione cinese ha costi che stiamo pagando già noi europei. Da quando è iniziata la pandemia nel 2020, i prezzi alla produzione in Cina sono aumentati dello 0,5% contro il 30% in Europa. Capite da soli che cosa vuol dire: le nostre imprese stanno perdendo competitività molto velocemente. Questi dati sono rispecchiati nei tassi d’inflazione: +6% cumulato dal 2020 al 2023 in Cina, +17,5% nell’Eurozona. Vi aspettereste che lo yuan si sia almeno rafforzato contro l’euro, bilanciando gli squilibri che si sono venuti a creare. Niente affatto. Da inizio 2020 ad oggi, l’euro ha persino rosicchiato qualcosa alla valuta cinese.

Non vi stupirà apprendere che nel triennio 2020-2022 la bilancia commerciale nell’Unione Europea abbia pianto di brutto, registrando un passivo complessivo di 800 miliardi di euro nei confronti della Cina. Mettiamoci altri 400 miliardi quest’anno e arriviamo a 1.200 miliardi in appena quattro anni. Ha voglia la Commissione europea a minacciare dazi e ad alzare la voce contro Pechino. Sta cercando disperatamente di chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati.

Crisi energetica duro colpo per industria europea

La crisi dell’energia ha evidentemente colpito pesantemente le imprese europee, i cui costi di produzione sono esplosi. Ha ragione da vendere Mario Draghi quando dichiara che non andremo da nessuna parte comprando l’energia a due, tre volte il prezzo dei nostri concorrenti. Ed è accaduto, poi, che il petrolio russo rimasto invenduto a seguito dell’allentamento della dipendenza energetica da Mosca da parte dell’Unione Europea sia stato offerto a sconto anche del 30-35% sulle quotazioni internazionali a Cina e India. Le due economie asiatiche hanno fatto affari d’oro, riuscendo sia a produrre a costi ancora più competitivi, sia rivendendo (è il caso dell’India) alla stessa Europa il gas russo ai prezzi di mercato.

Soltanto una pesante recessione scalfirebbe temporaneamente l’attivo commerciale della Cina verso l’Europa. E non è detto che funzionerebbe, dato che la transizione energetica comporterà sempre più la necessità di affidarci alle importazioni di materie prime e prodotti cinesi come i pannelli solari o per la costruzione, ad esempio, di auto elettriche. Viceversa, le famiglie cinesi già consumano meno del 40% del PIL e con la deflazione in corso starebbero limitando ulteriormente i consumi, per cui potrebbero ridurre nei prossimi mesi le importazioni da Europa e resto del mondo, aggravando il nostro passivo commerciale.

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