Jacques Chirac si è spento giovedì all’età di 86 anni, attorniato dai suoi affetti. Con la sua morte, la Francia perde un uomo delle istituzioni come pochissimi negli ultimi decenni e forse l’ultimo della sua stazza. Classe 1932, divenne deputato all’età di 35 anni e di lì in poi la sua carriera politica non fece che passi avanti. Già nel 1974, sotto la presidenza di Valery Giscard d’Estaing, divenne primo ministro e rimase in carica per due anni. Nel 1981 sfidò lo stesso d’Estaing per entrare all’Eliseo, dopo aver fondato il partito della destra neo-gollista, Rassemblement pour la République, ma finì terzo, dietro al presidente uscente e al socialista François Mitterrand, che vinse le elezioni.

Ci riprovò 7 anni dopo, ma Mitterrand venne rieletto. Nel frattempo, tra il 1986 e il 1988 era tornato a Palazzo Matignon per guidare un governo di centro-destra dopo che il suo RpR aveva conquistato la maggioranza all’Assemblea Nazionale.

Finalmente, nel 1995 riuscì a coronare il suo sogno, diventando presidente della Francia. Rimase all’Eliseo fino al 2007, con il secondo mandato accorciato per referendum a 5 anni e su sua stessa istanza. Ma la sua carica rivoluzionaria, con cui voleva rivoltare il paese come un calzino, si era affievolita da tempo. Esordì alla presidenza con i test nucleari nel Pacifico (memorabili le proteste degli attivisti di tutto il mondo nelle isole francesi di Mururoa) e con la presentazione di una riforma delle pensioni da parte del suo governo, presieduto dal premier conservatore Alain Juppé. I primi furono un successo, la seconda no.

I sindacati paralizzarono la Francia per tre settimane di seguito, gli scioperi indussero il governo a compiere un passo indietro e, nel tentativo di farsi consegnare un mandato chiaro sul tema, Chirac sciolse l’Assemblea Nazionale, convinto che il centro-destra avrebbe stravinto, mentre clamorosamente perse le elezioni anticipate in favore del Partito Socialista di Lionel Jospin, il quale aveva perso le presidenziali del 1995 e diventa così primo ministro.

Inizia la difficile coabitazione, come viene chiamata in Francia la convivenza tra un presidente e un premier di colori politici diversi. Negli anni Ottanta, lo stesso Chirac, di destra, aveva “coabitato” con Mitterrand, di sinistra.

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I germogli della crisi francese

I programmi dell’Eliseo si scontrarono con quelli di Matignon. La politica estera francese diventa bicefala, così come sull’economia la direzione non appare chiara. Per sua fortuna, Chirac ottiene un secondo mandato nel 2002, stravincendo al ballottaggio con oltre l’82% dei voti contro il leader dell’estrema destra, Jean-Marie Le Pen, arrivato al ballottaggio al posto di Jospin. Il centro-destra dilaga anche alle politiche, per cui il presidente si libera dei socialisti al governo, ma consapevole di avere rivinto anche grazie al loro appoggio in funzione anti-lepenista nei fatti annacqua il programma. Nel frattempo era entrato in vigore l’euro, la cui nascita deve essere fatta risalire, però, agli anni di Mitterrand, il vero fautore della moneta unica per cercare di contenere la forza del marco e la rinascita economico-politica della Germania riunificata.

Il quinquennio successivo non sarà ricordato per riforme e, in generale, per un’agenda politica apprezzabili, tanto che l’immagine del presidente si appanna, diventa grigia agli occhi dei francesi, che pian piano gli preferiscono il giovane e scalpitante ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, apparentemente più capace di portare avanti i temi tradizionali della destra, tra cui lotta alla criminalità, sicurezza e taglio delle tasse e della spesa pubblica.

Chirac resta forse segnato dal passo falso del ’97, che cambia le sorti della sua permanenza all’Eliseo. A pagare il conto è stata la Francia, che proprio sotto la sua presidenza inizia a maturare sentimenti di disaffezione verso la politica, percependo le istituzioni come rette da partiti politici indistinti e indistinguibili all’atto pratico.

In fin dei conti, a parte il debutto militarista e anche sul piano economico molto spostato a destra, di Chirac e dei suoi governi non si può certo dire che all’Eliseo abbiano tracciato un solco netto rispetto alle esperienze di sinistra.

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La crisi della Quinta Repubblica dopo Chirac

Non è casuale che nessun presidente dopo di lui ad oggi sia stato rieletto. Sarkozy perse nel 2012 contro un impalpabile François Hollande, il quale nemmeno si ripresentò nel 2017, quando i socialisti praticamente sparirono dalla scena e gli stessi conservatori non arrivarono al ballottaggio, scavalcati da Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie e anch’ella sconfitta duramente dal giovane Emmanuel Macron, grazie all’asse trasversale delle forse politiche anti-lepeniste.

Addebitare la crisi della Quinta Repubblica al solo Chirac sarebbe ingeneroso e tendenzioso. Egli stesso rimase vittima del sistema sociale transalpino, parecchio incrostato di corporativismi e diritti sociali, che altrove verrebbero considerati privilegi, come quello di andare in pensione già a 62 anni di età. Se Chirac ebbe una colpa, essa fu semmai quella di essersi arreso alla tipica allergia per le riforme dei francesi, ponendo fine alla spinta propulsiva di stampo liberal-conservatore, che aveva caratterizzato i primi 30 anni della sua azione politica.

Di certo, egli resta l’uomo che seppe reggere la Francia con mano ferma, figlio di una generazione con un senso delle istituzioni più alto di quello dell’attuale classe dirigente, non solo francese. Sarà per questo che nel 2015 un sondaggio lo ha decretato come presidente più amato della Quinta Repubblica, davanti agli stessi Mitterrand e Charles De Gaulle. E per questo i francesi che lo commemorano oggi lo rimpiangono. Avrà deluso le aspettative di tanti che 24 anni fa lo votarono per cambiare la Francia, ma nessuno può dubitare che fosse di un’altra pasta.

Più seria e rispettabile.

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