La cancelliera Angela Merkel ha dichiarato nel fine settimana da poco trascorso che la Germania disporrebbe di una cinquantina di miliardi di euro per reagire alla crisi, precisando di non ritenere che al momento servano. La cifra non sarebbe casuale, in quanto corrisponderebbe alla somma che finirebbe per portare i conti pubblici in pareggio, azzerando l’avanzo di bilancio di questi anni. In sostanza, Berlino avrebbe modo di spendere circa l’1,5% del pil tedesco senza intaccare il dogma dello “Schwarze Null”, la politica fiscale restrittiva inaugurata quando al Ministero delle Finanze vi era Wolfgang Schaeuble.

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Maggiori investimenti pubblici verrebbero, peraltro, sostenuti a costi negativi, visto che oggi come oggi il mercato è disposto a pagare il governo federale per prestargli denaro. Se questi ne approfittasse, la speranza del resto d’Europa sarebbe di ricevere un beneficio indiretto, in termini di stimolo alla crescita tramite maggiore esportazioni. Tuttavia, ciò è quanto stia accadendo già in questi mesi di quasi recessione tedesca. Nel primo semestre del 2019, il surplus fiscale della Germania verso il resto dell’Unione Europea è diminuito di 13,4 miliardi su base annua a 23,5 miliardi. All’infuori della UE, invece, è persino cresciuto di 0,3 miliardi a 88,3.

Nel dettaglio, le esportazioni verso il resto della UE sono rimaste invariate, mentre le importazioni dai partner europei del 3%. Dunque, la Germania non esporta di meno, ma in cambio sta registrando una crescita più marcata delle importazioni dal resto d’Europa. Questo significa che nel complesso le economie europee stanno timidamente migliorando le rispettive bilance commerciali con la Germania, avvantaggiandosene in termini di maggiore contributo alla crescita da parte della domanda estera.

Francia e Italia più competitive

Non lo stesso accade con la Francia, che resta dopo il Regno Unito il principale acquirente di merci europee, ma il disavanzo di Parigi nei confronti dei partner del continente si è ridotto nel semestre scorso di 2,2 miliardi, scendendo a 49,3 miliardi, dettato da un aumento delle esportazioni (+3%) superiore a quello delle importazioni (+1%).

Variazioni di fatto speculari a quelle della Germania, per cui il contributo che i francesi stanno dando alle altre economie continentali resta elevato, ma in leggero calo. Sintetizzando: la Germania perde quote di competitività, la Francia le guadagna.

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Ad oggi, la buona notizia per l’Italia è che il suo avanzo commerciale migliora sia verso i partner europei che all’infuori del Vecchio Continente. In particolare, nei confronti dei primi il saldo segna +2,3 miliardi e arriva a 8,3 miliardi, mentre cresce di soli 700 milioni a 13,8 miliardi verso gli stati non UE. L’Italia, come la Francia, è diventata più competitiva verso il resto d’Europa, contribuendo a ridurne i tassi di crescita, sebbene parliamo di numeri insignificanti sul piano macro-economico. Nel complesso, sempre su base annua, tra Italia e Francia sono arrivati 4,5 miliardi di euro di contributo alla crescita dell’area, mentre la Germania ha di gran lunga compensato con i suoi 13,4 miliardi di minore surplus.

In effetti, l’economia tedesca è da tempo in piena occupazione, i suoi residenti spendono e acquistano più beni dall’estero, cosa che se da un lato riduce la stessa crescita della Germania, dall’altro aumenta quella di altri paesi. Francia e Italia, invece, pur godendo di consumi interni più solidi per via della maggiore incidenza rispetto ai due pil, stanno assistendo a un loro indebolimento anche per la necessità di migliorare i conti pubblici e rilanciare la rispettiva competitività all’estero. Se il governo di Berlino varasse davvero un piano fiscale espansivo, ci farebbe certamente comodo, se non altro perché forse la Germania eviterebbe la recessione.

Ad ogni modo, i tedeschi il loro contributo all’Europa lo starebbe già offrendo, pur modesto e con lentezza.

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