L’Italia figura nella parte bassa della classifica internazionale sui sistemi previdenziali stilata dal Melbourne Mercer Global Pensions Index, che ha preso in esame 37 stati, pari ai due terzi della popolazione mondiale. Il nostro Paese si è posizionato solo 27-esimo, ma per effetto della scarsa “sostenibilità” assegnata alle nostre pensioni, le quali hanno raccolto sul punto solo 19 punti contro una media di 50,4. Invece, per adeguatezza abbiamo ottenuto 67,4 punti (media 60,6) e per integrità 74,5 punti (media 69,7). La prima individua il livello delle prestazioni erogate agli ex lavoratori, la seconda il grado di fiducia dei cittadini nel sistema previdenziale e la governance.

Pensioni, quota 100 nel mirino: come si può programmare il futuro senza leggi stabili?

Al primo posto, l’Olanda con un punteggio totale di 81, nettamente superiore ai 52,2 punti dell’Italia, risultanti dalla media tra le tre aree sopra indicate. La Germania si è collocata 13-esima con 66,1 punti, la Francia 18-esima con 60,2 e la Spagna 24-esima con 54,7. I dati prendono in considerazione anche il sistema integrativo, cioè le pensioni percepite grazie all’adesione a schemi privatistici (fondi pensioni, assicurazioni, PIP). Ebbene, su quest’ultimo punto casca l’asino: l’Italia alla fine del 2018 aveva patrimoni gestiti per conto degli iscritti a una qualche forma di pensione integrativa pari a 167 miliardi di euro, il 9,5% del pil. Sono i dati Covip, l’authority che vigila sulla previdenza privata.

Gli iscritti da noi si fermavano a 7,9 milioni, pari ad appena il 30% della popolazione attiva (occupati + disoccupati), di cui 1,2 milioni al 31 dicembre scorso risultavano non avere versato i contributi nel corso dell’ultimo anno, il 60% di quei 2 milioni, che di contributi non ne avevano versato per 3 anni consecutivi. A conti fatti, meno di un lavoratore su tre sta accantonando risparmi per la pensione e meno di uno su cinque lo starebbe facendo continuativamente. Si pensi che la ricerca di cui sopra ritiene che un sistema previdenziale possa considerarsi solido, quando tra l’altro i fondi pensione abbiano attivi raccolti per non meno del 100% del pil, oltre che quando il tasso di occupazione tra i 55 e 64 anni di età risulti almeno pari al 70% e almeno il 70% della popolazione in età lavorativa aderisca a un piano integrativo.

Pensioni italiane, futuro incerto

Questi numeri sono lontanissimi dalla realtà italiana, dove meno del 55% degli over 55 è occupato e solo il 20% della popolazione in età lavorativa aderisce a una qualche forma di previdenza integrativa. Per contro, i soli fondi pensione privati in Olanda disponevano alla fine del 2018 di patrimoni per 1.338 miliardi, qualcosa come il 200% del pil. Questo significa che gli olandesi possono confidare su un futuro molto solido, mentre noi italiani abbiamo un evidente problema di sotto-investimenti riguardo al futuro, a fronte di dinamiche demografiche molto negative, data la crescita veloce della popolazione di età avanzata rispetto a quella (stabile o calante) in età lavorativa.

Se dovessimo tendere alle statistiche olandesi, dovremmo accantonare almeno altri 3.350 miliardi per la vecchiaia. Direte che sia impossibile, ma la sola ricchezza finanziaria degli italiani nel complesso ammonta a quasi 4.400 miliardi, di cui 1,500 ammassati nei conti bancari infruttiferi. Servirebbe smuovere questi ultimi per rinvigorire la previdenza e rendere più sicuro il nostro futuro. Gli stimoli fiscali e normativi non vanno in tal senso, anzi puntano a scoraggiare sia il risparmio che gli stessi investimenti, mentre a parole tutti i governi parlano di sostegno alla previdenza complementare.

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