Il disegno di legge del governo Draghi sulla concorrenza ha fatto un buco nell’acqua. Le novità realmente significative sono pochissime, per non dire nulle. E contrariamente a quanto ci si potesse aspettare da un premier europeista per natura, il contenzioso tra Italia e Unione Europa sulle concessioni demaniali marittime non è affatto archiviato. Anzi, la battaglia prosegue in tribunale come vedremo.

Sugli stabilimenti balneari, il Ddl Concorrenza avrebbe dovuto intervenire consentendo l’indizione di bandi di gara aperti per il rilascio di concessioni di durata non eccessiva.

Invece, l’esecutivo ha semplicemente optato per attuare una sorta di “mappatura” delle concessioni sinora rilasciate sulle spiagge italiane, così da far emergere quante siano e quanto poco rendano. Un po’ come con la riforma del catasto, portata avanti nell’ottica di una maggiore trasparenza sul valore dei beni immobili degli italiani, ma almeno per i prossimi cinque anni senza alcuna presunta variazione del gettito fiscale per i contribuenti.

Stando ai numeri a disposizione dell’esecutivo, le concessioni demaniali marittime rilasciate sinora sono circa 30.000, di cui oltre 21.000 pagano allo stato un canone inferiore ai 2.500 euro. Se non ci sarà ancora una maggiore concorrenza, quindi, probabile che il decreto getti le basi per aumentare le riscossioni e far pagare il giusto a chi da decenni sfrutta un bene pubblico come le spiagge per fare impresa per pochi spiccioli.

Niente concorrenza in spiaggia, scontro Italia-UE

La battaglia tra Roma e Bruxelles sulle spiagge va avanti da 15 anni, ovvero da quando nel 2006 fu emanata la famosa direttiva Bolkenstein, che spinge per liberalizzare i servizi in tutta l’Unione Europea. L’Italia è accusata di rilasciare concessioni per gli stabilimenti balneari senza alcuna gara e per un periodo di tempo eccessivo, procedendo tra l’altro al rinnovo automatico alla scadenza. In questo modo, il mercato del turismo balneare resta chiuso e in mano ai soliti operatori, i quali si difendono sostenendo che solo concessioni lunghissime consentirebbero loro di effettuare investimenti da ammortizzare negli anni.

La Corte di Giustizia UE ha dato torto all’Italia nel 2016, ma nel 2018 il governo Conte estese le concessioni in scadenza nel 2020 fino al 2033. Una previsione confermata lo scorso anno dal secondo governo Conte. Al Consiglio dei ministri, la Lega ha fatto pressione per evitare che nel decreto Concorrenza fosse inserita la liberalizzazione degli stabilimenti balneari. Il centro-destra è sempre stato schierato su posizioni contrarie, facendosi portavoce (acritico) delle posizioni del settore.

Il flop del decreto rischia di pesare sulle quotazioni di Mario Draghi in Europa. La liberalizzazione dei servizi rientra tra gli obiettivi fissati da Bruxelles per le erogazioni di prestiti e sussidi con il “Recovery Fund”. E, soprattutto, se neppure “Super Mario” riesce a scalfire il muro di gomma delle lobby, quale altra speranza avrà l’Italia di aprire il suo mercato alla concorrenza? Per contro, va detto che il settore teme di diventare un boccone ghiotto per l’imprenditoria straniera, la quale scalzerebbe quella locale investendo i propri capitali nel Bel Paese. Una sorta di “iberizzazione” sulla falsariga di quanto accaduto nei decenni in Spagna, dove molti stabilimenti balneari sono di proprietà tedesca.

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