Il discorso pronunciato la scorsa settimana da Mario Draghi in Belgio ha lanciato informalmente la sua corsa alla presidenza della Commissione europea o, in alternativa, del Consiglio europeo. E’ stato un anticipo del suo rapporto sulla competitività, commissionatogli un anno fa da Bruxelles. In esso ha ribadito concetti noti da anni e che fanno parte del suo pensiero altrettanto collaudato sulla governance dell’Unione Europea. Egli ha fatto appello alla necessità di tendere a un mercato unico dei capitali. Ha notato che il nostro continente dispone di risparmi abbondanti e, ciononostante, non riesca a sfruttarli appieno a sostegno della crescita.

In buona parte, ha spiegato, restano depositati in banca senza andare a beneficio degli investimenti.

Mercato unico dei capitali, Draghi non spiega tutto

Quella di Draghi è un’affermazione senz’altro vera. In Italia, più che altrove, se ne parla da anni. Abbiamo troppa liquidità sui conti correnti e deposito, che fruttano poco o niente e che le banche prestano solo in parte alle imprese o alle famiglie. In pratica, quel denaro non finanzia la crescita. In media, nel nostro Paese su 100 euro depositati in banca, appena 80 euro finanziano gli investimenti del settore privato. E questo discorso vale più o meno per il resto d’Europa. Premesso ciò, cosa c’entra il mercato unico dei capitali?

Questa è la parte forse più oscura del testo di Draghi. Come sappiamo, formalmente esisterebbe già. I capitali sono liberi di circolare in tutta l’Unione Europea. Se da italiano voglio investire in Germania, posso e debbo farlo senza limitazioni di sorta. Lo stesso vale a parti invertite. Qualche limite esiste con i poteri assegnati ai governi e alle autorità indipendenti di tutelare gli asset strategici nazionali. Per questo, ad esempio, banche, società di energia, telecomunicazioni, difesa, trasporti, ecc., restano ad oggi perlopiù controllate da soggetti nazionali.

Riferimento implicito agli Eurobond

Tuttavia, il concetto di mercato unico dei capitali a cui si riferisce Draghi è qualcosa di parzialmente diverso. L’Unione Europea è un insieme di 27 stati con altrettante legislazioni e politiche fiscali. Ciò vale a maggior ragione per l’Area Euro: 20 differenti economie con gestione nazionale dei conti pubblici, pur in presenza di una banca centrale comune, ergo di un’unica politica monetaria. Un paradosso che spiega i tanti problemi che stiamo avendo da troppi anni nel tenere il passo con il resto del mondo. Gli altri corrono, noi se va bene camminiamo. Restiamo impantanati nelle sabbie mobili di regole che ci auto-imponiamo a causa della sfiducia reciproca tra i nostri governanti.

Un esempio di mercato unico dei capitali per Draghi sarebbero gli Eurobond, emissioni di debito comune per l’Area Euro. Finanzieremmo spese come difesa, transizione energetica, ricerca e sviluppo. Eviteremmo che sugli investimenti cruciali per il futuro vadano avanti soltanto gli stati con margini fiscali. A volerli sono gli stati del Sud Europa, il Nord si oppone. Trattandosi di diverse centinaia di miliardi di euro all’anno, si tradurrebbero in una mobilitazione dei risparmi delle famiglie.

Mani sui risparmi, rischi da centralismo europeo

Un altro possibile esempio di mercato unico dei capitali sarebbe l’euro digitale. Se ne parla tanto, ma alla gente comune non viene mai spiegato di cosa si tratti. Sarebbe una moneta elettronica, nei fatti alternativa alle carte di pagamento private di colossi come Visa e MasterCard. E non solo. Le famiglie avrebbero la possibilità di accreditare direttamente sul conto della Banca Centrale Europea (BCE) i loro risparmi, almeno fino a determinati importi, in cambio di un tasso di interesse. In questo modo, la BCE finirebbe per sottrarre alle banche commerciali parte della liquidità a cui oggi possono attingere.

Fin qui, la parte bella.

Il punto è che, nella visione di Draghi, i risparmi dei privati prenderebbero vie ignote quanto a strumenti ed obiettivi. L’ex premier e già governatore BCE ha esposto un piano centralistico, dirigistico, all’infuori di una logica di mercato. E le conseguenze rischiano di essere non così neutrali come pensiamo. Un mercato unico dei capitali siffatto può accentuare la migrazione del denaro dal Sud al Nord, qualora finisca per essere mediato dalla sfera politico-burocratica comunitaria. Gli appetiti dei forti (Germania e Francia, in primis) avrebbero la meglio su quelli dei più deboli. Nella migliore delle ipotesi si tratterebbe di spostare capitali dal settore privato a quello statale, non un esempio di efficienza e di stimolo alla crescita economica.

Mercato unico dei capitali di Draghi piano tecnocratico

Il progetto è meritevole di attenzione e di un’ampia discussione pubblica e franca. Peccato che Draghi abbia un problema con la democrazia. E’ diventato premier e ha tentato di salire al Colle senza passare per una sola elezione e senza neppure chiedere formalmente sostegno ai partiti. Sta facendo lo stesso con le istituzioni comunitarie. Per questo le sue vedute sul mercato unico dei capitali desta preoccupazione. Esso è sottratto al confronto di una normale dialettica democratica, limitandosi ad essere discusso negli ambienti tecnocratici e dirigistici di Bruxelles. Sembra tutt’altro che una semplice operazione di apertura al mercato, quanto la tentazione di mettere le mani sui risparmi privati per farne ciò che un gruppetto di pensatori illuminati ritiene necessario.

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