La crisi del mercato immobiliare italiano non è finita e se guardiamo all’andamento degli ultimi trimestri, notiamo persino un peggioramento. Tra luglio e settembre dello scorso anno, i prezzi medi delle case in vendita sono risultati in calo dello 0,8% rispetto ai 3 mesi precedenti, in forte peggioramento dal +0,6%, ponendo fine ai timidi segnali di risalita che si erano riscontrati tra aprile e giugno. Su base annua, in tutti e tre i trimestri del 2018 vi è stata una contrazione. Nessun altro stato europeo, tranne la Grecia, viaggia su valori negativi, anche se questi stanno contraendosi pure in Svezia, ma in conseguenza dello sgonfiamento della potente bolla alimentata negli anni recenti dal boom della domanda, a sua volta dovuto anche a ragioni demografiche.

Mercato immobiliare in ripresa con mutui a tassi minimi, i prezzi delle case risalgono dopo 7 anni

Rispetto al 2007, ultimo anno prima della crisi, i prezzi delle case in Italia si sono contratti del 25%. L’Istat ha posto come base di rilevazione il primo trimestre del 2010, rispetto al quale i prezzi sono scesi del 15,75%. Tuttavia, le abitazioni usate hanno subito il crollo peggiore con il -22%, mentre quelle nuove hanno registrato un timido rialzo dell’1,5%. Dunque, il problema riguarderebbe essenzialmente le prime. Quanto ai tempi medi di vendita, Tecnocasa ha intravisto per il luglio scorso una riduzione media a poco più di 5 mesi, in linea con i dati del 2009, quando la crisi del mercato immobiliare era agli inizi.

Restano in forte calo le transazioni, che tra il 2006 e il 2017 sono crollate del 36%, pari a oltre -300.000 unità vendute in un anno. Quanto al 2018, Nonisma ha stimato il dato in rialzo a quasi 573.000 transazioni, comunque di un terzo più basse rispetto all’apice di 13 anni fa. Tutto questo, nonostante mai i mutui residenziali siano stati così convenienti. Come mai, quindi, prezzi da saldo e tassi ai minimi non riescono a stimolare ancora il mercato delle case?

L’effetto Airbnb sulle case italiane

Come abbiamo notato sopra, la crisi continua a riguardare le case usate, non più quelle nuove.

E il dubbio che avanza è che non si tratti di un fenomeno solo e tanto legato alla lunga congiuntura economica sfavorevole dell’Italia, quanto a qualcosa di più strutturale. Stando ai dati di Idealista, questo è stato l’andamento dei prezzi di vendita nelle province delle tre principali città tra il gennaio 2017 e il dicembre 2018: -5% a Roma, +1% a Milano e – 2,3% a Napoli. Quanto ai canoni di locazione, abbiamo un -1,6% a Roma, il +8,4% a Milano e un +1,6% a Napoli. In altre parole, la performance degli affitti è risultata migliore (o meno peggiore) di quella dei prezzi di vendita. Come mai? La possibile risposta si chiamerebbe Airbnb.

Avete presente quei siti che mettono in relazione domanda e offerta di immobili per locazioni brevi? Starebbero stravolgendo il nostro mercato immobiliare. Airbnb figura tra le piattaforme più note e che di recente la legislazione costringe ad applicare alla fonte l’imposta del 21% sui canoni pattuiti tra locatore e turista. Di preciso, cosa starebbe succedendo? Il mercato delle case usate si starebbe sdoppiando: molti italiani tentano di sbarcare il lunario, specie nelle località a maggiore intensità turistica, affittando le loro seconde abitazioni anche per pochi giorni o mesi l’anno. Tuttavia, ciò equivale ad affermare che vi sarebbero disponibili sul mercato degli affitti minori immobili per le famiglie a scopo residenziale. Da qui, si spiegherebbe la maggiore crescita dei canoni di locazione o il loro minore calo rispetto ai prezzi di vendita.

Tassi mutui e prezzi case crollati

Il problema delle case usate

Viene da chiedersi adesso come mai questi ultimi continuino ad arretrare. La spiegazione sarebbe la seguente: gli immobili meglio tenuti sarebbero sempre più collocati sul mercato per essere affittati ai turisti, grazie anche alle piattaforme online, mentre aumenterebbe l’incidenza delle abitazioni di scarsa qualità disponibili alla vendita e le quali vedono ampliarsi gli sconti necessari per essere effettivamente acquistate.

In altre parole, chi ha una casa ristrutturata da poco o conservata in condizioni relativamente buone starebbe sempre più optando per l’affitto breve, così sul mercato restano perlopiù case di qualità inferiore e per cui ovviamente i prezzi di vendita risultano più bassi, visto che la domanda scarterebbe quegli immobili che presenterebbero costi futuri più alti per la necessaria opera di ristrutturazione e, ad esempio, per il miglioramento della classe energetica.

A questo discorso si aggiunge anche l’offerta di una quantità enorme di case collocate all’asta dalle banche creditrici. Nel 2017, quelle effettivamente così vendute sarebbero state 30.000, che su un totale di 545.000 farebbero oltre un ventesimo dell’offerta globale. Parliamo di immobili svenduti a prezzi stracciati, anche perché il più delle volte si riferiscono a procedure esecutive risalenti a diversi anni prima (alcuni tribunali al sud impiegano anche oltre 10 anni per darvi seguito), per cui le banche non possono permettersi di perdere ulteriore tempo nel tentativo di spuntare un prezzo buono. E con sofferenze nette ancora stimate pari a 35 miliardi di euro, di cui un quinto afferenti a debiti delle famiglie, di case da “svendere” ve ne saranno anche nei prossimi mesi e anni. Anzi, proprio le aste fungeranno da freno per i prezzi delle case usate, perché man mano che il mercato si riprenderà, le banche si precipiteranno a monetizzare i crediti sofferenti, ma con ciò perpetuando la depressione dei valori stessi.

Il mercato immobiliare in Italia è ripartito, ma mancano 230.000 mutui all’anno

Prezzi in salita con gli investimenti esteri?

Per contro, se questa distonia tra Italia e resto d’Europa continuasse, non sarebbe strano che dall’estero si riversassero flussi di capitali sul nostro mercato immobiliare.

Si consideri, ad esempio, che rispetto al 2010 le case in Europa costano oggi oltre il 15% in più, per cui in meno di 9 anni quelle italiane sono diventate relativamente più convenienti del 30%, con punte del 40% per le usate. Naturale che singoli privati o persino investitori istituzionali inizino a farsi due conti, fiutando l’affare. Se il problema delle case italiane fosse di qualità, basterebbero interventi di ristrutturazione (investimenti) per metterle a disposizione del mercato a prezzi, a quel punto, maggiori. Il discorso varrebbe per le principali realtà urbane e anche per quelle più secondarie, purché a forte vocazione turistica.

Le famiglie italiane starebbero facendo la loro parte, se è vero che del tutto in linea con le percentuali medie europee avrebbero speso nel 2017 l’8,2% dei redditi disponibili per gli investimenti, tra cui essenzialmente rientrano i costi di acquisto e ristrutturazione di immobili. Nella Spagna della bolla fino al 2008, si scende ad appena il 5,43%. Ciò significa che non sarebbe vero che gli italiani non stiano spendendo per la casa, semplicemente non per qualsiasi tipo di casa. Chi compra, preferirebbe accollarsi un mutuo più alto, pur di entrare in possesso di un immobile di qualità, mentre resta vero che i bassi investimenti effettuati mediamente sulle case usate finiscono per rendere bassa la qualità dell’offerta, a tutto discapito dei prezzi.

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