Prosegue il calo dei depositi bancari in Italia nel mese di marzo, scesi a 1.783,2 miliardi di euro dai 1.787,5 di febbraio. L’apice era stato toccato nel luglio scorso a 1.873,1 miliardi. In otto mesi, i risparmiatori hanno smobilizzato ben 90 miliardi. Tuttavia, i capitali in parte stanno rimanendo negli istituti di credito sotto forma di investimenti in obbligazioni bancarie. Sempre da luglio, queste hanno attirato 20,3 miliardi. E il dato di marzo è stato eloquente in tal senso. Il balzo è stato di 6,9 miliardi a 220,5 miliardi.

Ciò ha aumentato nel complesso la raccolta bancaria presso la clientela di 2,7 miliardi a 2.003,7 miliardi.

E’ chiaro quanto stia accadendo. L’inflazione sta divorando da mesi il potere di acquisto delle famiglie. Pur in calo, a marzo è stata del 7,6%. Era stata in media dell’1% nel decennio pre-Covid. Tenere liquidità infruttifera sui conti correnti e in forma di depositi vincolati a tassi d’interesse prossimi allo zero è controproducente. Anche perché le alternative ci sono. I titoli di stato offrono rendimenti già sopra il 3% per i 6-12 mesi. Le stesse obbligazioni bancarie sono diventate più allettanti con rendimenti medi saliti al 2,41%, ai massimi da cinque anni.

Per contro, i depositi hanno offerto a marzo un tasso medio dello 0,61%, pur in rialzo dallo 0,54% di febbraio. Il trend è crescente, ma non abbastanza per i risparmiatori. Viceversa, i mutui sono rincarati in media al 4%. A beneficiare di questa scarsa correlazione tra tassi attivi e passivi sono evidentemente le banche, il cui spread è lievitato a 301 punti base, non distante dai 335 raggiunti a fine 2007, prima della crisi finanziaria mondiale. A fine 2021, prima che la Banca Centrale Europea iniziasse ad alzare i tassi d’interesse, tale spread era a 169 punti. In parole semplici, le banche italiane stanno maturando un margine di oltre il 3% sui prestiti contro l’1,69% di 15 mesi prima.

Meno depositi, più investimenti e consumi dopo Covid

Parlare di fuga dei depositi, tuttavia, appare esagerato.

I risparmiatori italiani starebbero semplicemente normalizzando le loro abitudini di consumo dopo le restrizioni anti-Covid del triennio 2020-2022. Rispetto al periodo immediatamente precedente alla pandemia, i depositi restano di oltre 200 miliardi più alti, più del 10% del PIL. Parte dei smobilizzi di questi mesi finanzia il ritorno agli investimenti, per il resto alimenta i consumi, i quali sono diventati ben più cari con l’inflazione schizzata fino al 12%.

Può apparire paradossale il balzo degli investimenti in obbligazioni bancarie a marzo, mese in cui c’è stata proprio la crisi bancaria con il crac di due banche americane, il salvataggio di una terza e il caso Credit Suisse. C’è da dire che i bond subordinati incriminati non si trovano più nei portafogli delle famiglie italiane, essendo stati riservati negli ultimi anni agli investitori istituzionali. I bond senior sono molto più sicuri e, oltretutto, non c’è stato alcun tremolio di banche italiane. Al contrario, le azioni Unicredit segnano una crescita in borsa del 45% quest’anno, Intesa Sanpaolo del 17% e MPS del 9%.

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