Siamo nel giugno del 2020. La pandemia è arrivata in Europa da pochi mesi e il continente è ancora pervaso da restrizioni per cercare di frenare i contagi da Covid-19. La Banca Centrale Europea ha varato da poco il PEPP, un piano per acquistare titoli di stato in emergenza e reagire così ai contraccolpi sui mercati finanziari. L’Austria decide di emettere un nuovo bond a 100 anni, stavolta con scadenza 30 giugno 2120 e cedola di appena 0,85% (ISIN: AT0000A2HLC4). L’altra emissione era avvenuta nel 2017 ed aveva avuto ad oggetto un bond in scadenza nel settembre 2117 con cedola 2,10%.

Preistoria. Vienna riesce a incassare un paio di miliardi a costi infimi e che praticamente rimborserà dopo un secolo.

Bond a 100 anni caso estremo

Nel dicembre del 2020, il nuovo bond a 100 anni dell’Austria sul mercato secondario sfiora la quotazione di 139. In pratica, il rendimento risultava sceso a livelli ancora più bassi, all’incirca allo 0,35%. Ieri, lo stesso titolo quotava 43,80 centesimi. Agli inizi di marzo, era sprofondato sotto 40 centesimi. Significa che chi lo acquistò all’atto dell’emissione di neppure tre anni fa, oggi virtualmente sta perdendo oltre il 55% del capitale. Chi ebbe l’ardire di acquistarlo ai prezzi ridicoli di fine 2020, oggi perderebbe più del 68%.

Il bond a 100 anni dell’Austria è solo un esempio estremo di quanto accaduto sul mercato obbligazionario negli ultimi anni. Poiché le condizioni monetarie erano ultra-favorevoli, governi, società e banche furono in grado di emettere titoli del debito a tassi bassissimi (spesso negativi) con scadenze anche molto lunghe. Una volta che le banche centrali sono tornate ad alzare i tassi, i prezzi di questi titoli sono caduti tanto più in basso quanto più alta fosse la duration. Nessuno oggi acquisterebbe un bond a 100 anni allo 0,85% di rendimento. Ai prezzi attuali, offre intorno al 2,30%. E continua ad essere poco, se si pensa che nel frattempo l’inflazione divora i nostri risparmi.

Rischi finanziari

Pensate che tanti di questi titoli svalutati sono finiti nei bilanci di banche, fondi e assicurazioni. In teoria, finché li terranno in portafoglio, non comportano alcun costo. Tuttavia, una volta rivenduti sul mercato ai prezzi attuali, essi infliggeranno perdite anche altissime. È così che è fallita SVB, innescando un’ondata di sfiducia tra gli investitori circa la solidità dei bilanci bancari. La paura è che il bisogno di liquidità spinga molte case d’investimento a dover svendere gli asset. E ciò appare uno scenario verosimile, dato che i clienti stanno giustamente pretendendo rendimenti maggiori sui prodotti loro offerti.

Se un anno fa avevo acceso un deposito in banca a tassi annuali dello 0,25%, oggi non posso più accettare simili condizioni. E la banca per trattenere i miei risparmi è costretta ad offrirmi di più, ma rischia di andare in perdita se continua ad avere all’attivo bond con rendimenti bassissimi. Ecco la ragione per cui potrebbe dover liquidare gli asset posseduti, finendo con registrare perdite a bilancio anche notevoli. Magari non avrà (tanti) bond a 100 anni, ma è noto che nel recente passato gli investitori abbiano dovuto puntare su scadenze sempre più lunghe per ottenere rendimenti al tempo considerati perlomeno decenti. Solo se i prezzi di questi asset tornassero a salire, cioè i rendimenti a scendere, i rischi si ridurrebbero. Ma ciò sarebbe possibile con un’inversione della politica monetaria, ossia con un rientro dell’inflazione dai tassi stellari di questi mesi.

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